Uno sguardo sul mondo, sull’universalità della chiamata al sacerdozio. Saranno tanti i confratelli che, dalle diverse parti del mondo, provenienti da contesti di ricchezza e povertà, dove la fede è messa alla prova, la vita è in pericolo, oppure dove il ministero è ignorato, poco considerato e stimato, si recheranno a Roma per varcare la Porta Santa. Sì, anche noi preti abbiamo bisogno di misericordia, di una carezza del Pastore che si è fatto porta per l’intero popolo di Dio. Non siamo estranei per appartenenza, non lo vogliamo essere nel bisogno di carezze e di accoglienza.
Anche noi abbiamo bisogno di varcare quella porta spalancata del cuore di Dio, bere alla sorgente, fare una sosta, per poi rimetterci in cammino con gioia e tanta meraviglia.
Una schiera variegata di persone, una porzione di popolo eterogeneo per età, cultura e formazione, si ritroverà con il Maestro, per stare un po’ con Lui, per ascoltare la parola di Pietro e lasciarsi incoraggiare da colui che per primo ha cercato il Signore: “Da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna!”.
Gesù ci porta sul monte per riposare un po’, per varcare in questo Giubileo quella porta della sua misericordia e del suo amore e fare nuovamente esperienza di Lui, della sua tenerezza.
Tanti saranno i sacerdoti a Roma, convocati per il Giubileo, ma ancor più dal Signore, che ha chiamato uomini presi in mezzo agli uomini per coinvolgerli in quel sogno d’Amore per l’umanità.
A che serve il Giubileo dei sacerdoti? Non è una processione o una parata, ma una grande occasione, un appuntamento. Gesù vuole ascoltare dalla nostra viva voce la narrazione di quanto ci portiamo nel cuore: le gioie, i dolori, le stanchezze; vuole abbracciarci uno ad uno, vuole farci una carezza, per poi rimandarci di nuovo nello spazio della nostra missione, con quel supplemento di gioia e di speranza che viene proprio dall’incontro con Lui.
Piazza San Pietro diventerà ancora un grande Cenacolo, la stanza al piano superiore, dove il Risorto ci ascolterà e ci spiegherà nuovamente ogni cosa.
A noi sacerdoti del mondo è chiesto di vivere questa esperienza con la curiosità e la meraviglia di Mosè, anche se non possiamo andare fisicamente a Roma, per vedere da vicino quel roveto che brucia e non si consuma. Sì, perché il cuore di Cristo è una fiamma che brucia d’amore per gli uomini e non si consuma. E noi siamo i testimoni più vicini di questo evento divino, contempliamo ogni giorno questo mistero d’amore. A noi sacerdoti, ancora di più, è chiesto di varcare quella Porta con la meraviglia e lo stupore che ci rende fiduciosi cantori dell’opera di Dio.
Fiduciosi cantori, sapendo che Gesù ha pregato per noi, per la nostra fede, ha guardato prima di noi lo sconfinato campo della missione e ha chiesto a tutti di pregare il padrone della messe perché mandi operai per il suo vastissimo campo.
Quanti sacerdoti, ogni giorno, sono testimoni operosi e silenziosi, donati e appassionati dell’incontro con il Risorto, di un’esperienza che fa sempre nuovi, che riporta alla freschezza della sorgente della chiamata.
Farsi pellegrino, fisicamente e nel cuore, significa riscoprire e ricordare (riportare al cuore) quei primi passi timidi, impacciati, ma coraggiosi, che ciascuno di noi ha fatto negli anni della giovinezza, delle prime risposte, che nulla pretendevano in cambio.
“Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna”, vogliamo ripetere ancora con Pietro, perché l’importante è stare solo con Lui, alla sua presenza, celebrare le sue lodi, portare agli altri la sua parola.
Questa occasione giubilare può rinvigorire il passo stanco, sollecitare le membra infiacchite, liberare i cuori dai rifugi che ci siamo via via trovati o costruiti per il timore di restare soli, essere incompresi o sentirsi non apprezzati.
La nostra gioia, la nostra forza, è nel Signore Gesù che, in un giorno come tanti altri, ci ha chiamati mentre eravamo lungo la via. Lui ci ha fatto ardere il cuore e noi siamo chiamati a custodire e a portare quel fuoco acceso al mondo, ai fratelli.
Gli uomini non hanno bisogno di custodi di ceneri, ma di portatori del fuoco con il quale possiamo accendere il mondo, dare speranza, asciugare lacrime, donare la ricchezza che abbiamo. Questo fuoco è Gesù Cristo, il Signore.
Dopo aver varcato la Porta Santa, dopo aver visto Pietro, dopo aver fatto esperienza di misericordia, torneremo alle nostre case, nelle nostre comunità. È lì che dovremo portare la ricchezza di quest’incontro, della bellezza di tutti quei volti che abbiamo incrociato. Dietro ciascuno c’è una storia, una chiamata unica ed irripetibile, c’è l’ardore giovanile o il passo stanco di chi ha lavorato per una vita nella vigna, di chi ha dissodato terreni e di chi ha combattuto contro famelici lupi. C’è la fedeltà e anche il peccato perdonato, la fragilità e le paure di non farcela, ma la più bella testimonianza starà nel fatto che il Signore ci ha guardato, ci ha chiamato, ci ha fatti custodi del suo tesoro nella fragilità di vasi di creta. Non dimentichiamo di portare con noi chi è malato, stanco, chi ha sbagliato, chi ha mollato, chi non ce l’ha fatta.
La nostra balbuzie con Lui si è trasformata in eloquenza e profezia, le nostre paure in coraggio, i dubbi nella professione di fede di colui che tutto può; il nostro peccato si è trasformato in grazia e in capacità di comprensione dei fratelli e delle sorelle, le nostre cadute in ripartenze arricchite da un’esperienza. Quanto abbiamo dato ci è stato già restituito cento volte tanto e, sono sicuro, che tutti rifaremmo tutta la strada, così come l’abbiamo percorsa finora, pur di restare accanto a Lui che ci ha chiamato a questo ministero d’Amore, nonostante noi, nonostante tutto.

