
Una suora che detta la meditazione, un papa che guida la processione dall’Aula Paolo VI alla basilica di San Pietro, portando la Croce: : dietro di lui i cardinali, i vescovi e i sacerdoti, seguiti dal personale laico. Sono le due immagini che sintetizzano il Giubileo della Santa Sede e che hanno caratterizzato l’omelia di Leone XIV, tutta incentrata sulla reciprocità tra il polo mariano e quello petrino, come elementi costitutivi sia della Chiesa che della stessa Santa Sede. “La fecondità della Chiesa è la stessa fecondità di Maria; e si realizza nell’esistenza dei suoi membri nella misura in cui essi rivivono, in piccolo, ciò che ha vissuto la Madre, cioè amano secondo l’amore di Gesù”, l’esordio del Papa.
“Tutta la fecondità della Chiesa e della Santa Sede dipende dalla Croce di Cristo. Altrimenti è apparenza, se non peggio”,
il monito di Leone XIV, che ha citato “un grande teologo contemporaneo”, Hans Urs von Balthasar: “Se la Chiesa è l’albero cresciuto dal piccolo granello di senapa della croce, quest’albero è destinato a produrre a sua volta granelli di senapa, e quindi frutti che ripetono la forma della croce, perché proprio alla croce devono la loro esistenza”.
“Il modo migliore di servire la Santa Sede è cercare di essere santi,
ciascuno di noi secondo il suo stato di vita e il compito che gli è stato affidato”, l’affermazione di fondo dell’omelia: “la Santa Sede è santa come lo è la Chiesa, nel suo nucleo originario, nella fibra di cui è intessuta. Così la Sede Apostolica custodisce la santità delle sue radici mentre ne è custodita”. “Ma non è meno vero che essa vive anche nella santità di ciascuno dei suoi membri”, ha proseguito il Pontefice: “Ad esempio, un prete che personalmente sta portando una croce pesante a motivo del suo ministero, e tuttavia ogni giorno va in ufficio e cerca di fare al meglio il suo lavoro con amore e con fede, questo prete partecipa e contribuisce alla fecondità della Chiesa. E così un padre o una madre di famiglia, che a casa vive una situazione difficile, un figlio che dà pensieri, o un genitore malato, e porta avanti il suo lavoro con impegno, quell’uomo e quella donna sono fecondi della fecondità di Maria e della Chiesa”.
“La Santa Sede vive in maniera del tutto peculiare la compresenza dei due poli, quello mariano e quello petrino”,
ha sintetizzato il Papa: “Ed è quello mariano che assicura la fecondità e la santità di quello petrino, con la sua maternità, dono di Cristo e dello Spirito. Maria, nel Cenacolo, grazie alla missione materna ricevuta ai piedi della croce, è al servizio della comunità nascente: è la memoria vivente di Gesù, e in quanto tale è, per così dire, il polo d’attrazione che armonizza le differenze e fa sì che la preghiera dei discepoli sia concorde. Ma lui stesso, anzi, lui per primo è sostenuto da Maria nel suo ministero. Analogamente la Madre Chiesa sostiene il ministero dei successori di Pietro con il carisma mariano”.
“Tener viva la tensione tra passato e futuro”, perché “l’equilibrio fra passato è futuro è la grande radice della speranza”.
E’ l’invito con cu suor Maria Gloria Riva, delle Adoratrici Perpetue del Santissimo Saramento, ha aperto in Aula Paolo VI la giornata giubilare dedicata alla Santa Sede. “Rischiamo oggi di vivere nella nostalgia di un passato che non è più , e che sfocia in un tradizionalismo spesso scollegato dal presente, oppure di correre verso un futuro che ancora non c’è, cadendo in un futurismo illusorio, incapace di offrire reali soluzioni alle side del presente”, il monito di suor Riva. “Viviamo in un mondo in corsa dove il progresso può essere una grande risorsa, ma anche un grande pericolo”, l’analisi della religiosa, che ha citato un’opera di Giorgio De Chirico, “Il ritorno del Figlio prodigo”, per spiegare che
“non si corre come si deve se s’ignora dove si deve correre’”,
come insegna Sant’Agostino. “Sperare è affermare la verità che rispetta la vita, dal suo concepimento alla sua fine”, ha affermato la religiosa: “che rispetta la dignità di ogni persona, al di là del suo genere, del suo credo o della sua nazionalità; che rispetta usanze e culture particolari di ogni popolo, grande ricchezza universale”.
“Una citazione della quale si abusa spesso è quella di Fëdor Michajlovič Dostoevskij: la bellezza salverà il mondo”, ha precisato suor Riva, sottolineando che “il principe Myskin, nel celebre romanzo russo l’Idiota, pronuncia in realtà una drammatica interrogazione: quale bellezza salverà il mondo? Il Principe infatti, si trova di fronte al Cristo morto di Holbein, un’opera terribile dove Gesù dipinto a grandezza naturale presenta un volto dagli occhi incavati e le estremità che già mostrano i segni della necrosi. Dunque l’interrogazione è seria. Quale bellezza ci salverà? La bellezza della croce salverà il mondo? La bellezza della sconfitta?”.
“Sì, la croce ancora ci può salvare, una croce accolta e offerta”, la risposta della religiosa: “Abbiamo vissuto anni difficili tra scandali e polemiche, ma in questo grande segno possiamo ancora vincere. Questa grande bellezza perdente, ci salverà”.
L’ultima citazione artistica di suor Riva è quella della Madonna di Port Lligat, dipinta da Salvador Dalì, dopo l’esplosione della bomba atomica, “simbolo della tragedia che una scienza e una tecnica sganciate dall’etica, potrebbero procurarci”. La Madonna dipinta dall’artista, cha il volto della moglie Gala, vuole affermare che “Maria ci custodisce nei nostri fallimenti e nelle nostre potenzialità come custodisce il Bambino che porta sulle ginocchia. Le viscere misericordiose di Maria e del Divino Infante sono rappresentate da riquadri aperti come Porte giubilari di speranza”.