
“Questa è l’ora dell’amore. Se questo criterio prevalesse nel mondo – potremmo chiederci con il mio predecessore Leone XIII – non cesserebbe subito ogni dissidio e non tornerebbe forse la pace? Costruiamo una Chiesa missionaria, che apre le braccia al mondo, che annuncia la Parola, che si lascia inquietare dalla storia, e che diventa lievito di concordia per l’umanità”. Con questo confortante messaggio, Papa Leone XIV ha iniziato ufficialmente, domenica 18 maggio, il suo ministero di Papa e Vescovo di Roma. La Chiesa è tornata a gioire e con essa tutta l’umanità, dopo il senso di vuoto e di dolore avvertito per la morte di Papa Francesco. La sua dipartita aveva fermato il mondo: i grandi avevano lasciato i loro troni per venire a Roma e rendere omaggio alle sue spoglie, rimanendone come suggestionati. E, poi, quella foto, già consegnata alla storia, di Trump e Zelensky, seduti nella Basilica vuota, uno di fronte all’altro, potrebbe costituire uno spartiacque fra un prima e un dopo anche nei rapporti fra le grandi potenze. Un dopo che prende corpo, con rinnovato slancio, sotto la guida sicura di Papa Prevost.
Il breve tempo trascorso dalla sua elezione è stato sufficiente per apprezzare lo spessore umano, culturale e spirituale del 267.mo successore di Pietro. A iniziare dal primo saluto – “La pace sia con tutti voi” – con il quale si è presentato all’umanità intera afflitta da guerre infinite. Il suo programma sembra essere racchiuso nelle tre P “Poveri, pace, ponti”, dove il termine “pace” viene qualificato con gli aggettivi “disarmata e disarmante”. La pace di Cristo, in quanto disarmata, non può ottenersi con le maniere forti, come fanno gli uomini. Una pace, ancora, “disarmante” perché capace di incidere sul nostro modo di pensare, ma anche di comunicare. “Una comunicazione disarmata e disarmante – ha detto il Papa ai giornalisti nell’incontro con la stampa mondiale – ci permette di condividere uno sguardo diverso sul mondo e di agire in modo coerente con la nostra dignità umana”. Bastano queste poche citazioni per comprendere lo spessore e la profonda spiritualità di un Pontefice che, senza mezzi termini, afferma che al centro non ci siamo noi con il nostro protagonismo, ma Cristo. Occorre «Sparire – ha detto- perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato, spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo”. E partendo dalla frase di Papa Francesco «Tutti fratelli, tutti sulla stessa barca, nessuno si salva da solo», Papa Leone ha voluto completarla con «Siamo tutti nelle mani di Dio». Il suo stile, la sua originalità, ma anche la sua umiltà, non gli hanno impedito di riferirsi, in più occasioni, ai suoi predecessori.
D’altra parte, ogni Papa, pur non essendo la fotocopia dell’altro, lascia sempre qualche segno che passa alla storia della Chiesa. Il futuro della Chiesa si gioca, infatti, fra la continuità nella successione apostolica e la discontinuità nella specificità di ogni Pontefice. I riferimenti grati di Leone XIV ai suoi predecessori vanno proprio in questa direzione. Per la scelta del nome si è riferito a Leone XIII, l’autore della “Rerum Novarum”, l’enciclica sulla questione sociale che rimane una bussola anche per le condizioni attuali dei lavoratori. Come pure il riferimento al grido di Giovanni Paolo II – “Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo” – riporta alla mente gli sconvolgimenti politici del tempo. Quanto a Papa Francesco, insieme alle tante citazioni, particolare riferimento merita quello all’enciclica “Evangelii gaudium, della quale Papa Leone ha voluto proporre al Collegio Cardinalizio taluni punti come un programma da realizzare: “Il ritorno al primato di Cristo nell’annuncio; la conversione missionaria di tutta la comunità cristiana; la crescita nella collegialità e nella sinodalità; la cura amorevole degli ultimi, e degli scartati; il dialogo coraggioso e fiducioso con il mondo contemporaneo nelle sue varie componenti e realtà”. Un programma, in fondo, che costituisce la missione della Chiesa capace di interpretare, nel solco della tradizione, i segni dei tempi senza farsene soggiogare.