Giubileo Chiese Orientali. Don Braschi (Biblioteca Ambrosiana): “Diverse liturgie e altre forme di preghiera dimostrano l’universalità della Chiesa cattolica”

Dal 12 al 14 maggio sono attesi a Roma fedeli delle Chiese cattoliche orientali. Tre giorni caratterizzati da celebrazioni secondo le varie tradizioni rituali, segno della vocazione "polifonica della Chiesa di Roma, cattolica, capace di accoglienza universale e di sostegno e di apprezzamento", dice il vice prefetto della Biblioteca Ambrosiana, don Francesco Braschi.

(foto Congregazione Chiese orientali)

L’anno giubilare prosegue con un fitto calendario che porta anche a cercare di conoscere e valorizzare la ricchezza delle diverse tradizioni. Dal ieri, 12 maggio a domani, 14 maggio, attesi a Roma fedeli delle Chiese cattoliche orientali. Tre giorni caratterizzati da celebrazioni secondo le varie tradizioni rituali. Ieri, nella cappella del Coro della Basilica di San Pietro, una Divina liturgia in rito etiopico, guidata dalle Chiese etiopiche ed eritree e  nella cappella Paolina della Basilica di Santa Maria Maggiore, una Divina liturgia in rito armeno. A seguire, la Chiesa copta ha guidato una Divina liturgia nel proprio specifico rito. Oggi è in programma una Divina Liturgia in rito siro-orientale, con l’anafora di Addai e Mari, ovvero l’antica preghiera eucaristica cristiana, caratteristica della Chiesa d’Oriente. A coordinare la celebrazione la Chiesa caldea e quella siro-malabarese. Nel pomeriggio, alle 18.45, la basilica di Santa Maria Maggiore ospiterà i Vespri in rito siro-occidentale, organizzati dalla Chiesa siro-cattolica, da quella maronita e da quella siro-malankarese e in serata, sul sagrato della Basilica liberiana, l’antico inno di lode alla Madonna, Madre d Dio, Acatisto. Domani in San Pietro per una divina liturgia in rito bizantino guidata dalle chiese greco-cattolica melchita, greco-cattolica ucraina, greco-cattolica romena, insieme con le altre Chiese sui iuris di rito bizantino.

(Foto Vatican Media/SIR)

“Diverse liturgie e altre forme di preghiera in diversi riti che dimostrano l’universalità della Chiesa cattolica,  quindi questa capacità di accogliere tutti i riti e tutte le modalità attraverso le quali si rende onore a Dio”, dice don Francesco Braschi, vice prefetto della Biblioteca Ambrosiana aggiungendo che è anche “molto importante il fatto che queste comunità, che saranno chiamati a partecipare, in realtà hanno una presenza ininterrotta a Roma da secoli”. Sono presenze che “hanno già da secoli stabilmente fatto parte della chiesa a Roma e questo ci aiuta anche a capire che la chiesa a Roma è la chiesa universale proprio perché stabilmente ha con sé comunità anche di riti diversi da quello latino: chiese sia occidentali che orientali che vivono anche in situazioni e contesti socio politici molto complessi. Spesso sono chiese – spiega il sacerdote – che vivono in Medio Oriente, anche situazioni di grande prova e di grande difficoltà”. Ma quale messaggio può arrivare da queste chiese in questo giubileo dedicato alla speranza? Un messaggio di “testimonianza della polifonicità e della universalità della Chiesa che non è fatta solo di rito latino ma è fatta di riti e diversi modi di testimoniare il Vangelo”, spiega il vice prefetto della Biblioteca Ambrosiana: é “il segno di questa vocazione polifonica della Chiesa di Roma, cattolica, capace di accoglienza universale e di sostegno e di apprezzamento. Desiderio di una unità che non è appiattita e uniformante ma polifonica”.
Il giubileo che stiamo vivendo cade nel 1700 anniversario del Concilio di Nicea, nell’attuale Turchia, il primo Concilio della storia della Chiesa. Qui dal 20 maggio al 25 luglio di quell’anno vi presero parte oltre 200 rappresentanti. Uno storico evento in cui si cercò di raggiungere un consenso nella Chiesa attraverso un’assemblea rappresentativa di tutta la cristianità: i vescovi rappresentavano l’intera cristianità e affermavano la loro fede nel Dio Uno e Trino. “E’ stato, ci dice don Braschi – questo concilio ecumenico il primo che vedeva comunque la chiesa ancora unita. Non erano ancora avvenute quelle divisioni in Oriente e poi successivamente in Occidente che poi purtroppo hanno portato a perdere, diciamo concretamente la possibilità di apprezzare l’unicità e l’unità della Chiesa. Quindi in questo senso il simbolo di Nicea diciamo che è l’unico simbolo che è riconosciuto da tutte le chiese. Riveste, quindi, un valore esemplare paradigmatico perché in una situazione comunque non semplice ci fu questa capacità di trovare una unità e un consenso soprattutto nel riconoscimento della figura di Cristo come Salvatore e come Dio nella stesa sostanza del Padre”