Sede vacante. Ogliari (abate S. Paolo): “Uno smarrimento generalizzato serpeggia nella Chiesa”

L'abate di San Paolo, Donato Ogliari, nella meditazione tenuta nel corso della sesta Congregazione generale ha tracciato l'identikit di una Chiesa "aperta, coraggiosa e profetica" citando le "numerose sfide" che deve affrontare, come le guerre e le autocrazie. "Uno smarrimento generalizzato serpeggia nella Chiesa", la denuncia, insieme all'elogio della "molta strada" fatta nella lotta agli abusi. Serve "pazienza" per non arrendersi di fronte ad errori e fallimenti. La via da seguire è quella di una Chiesa sinodale, in dialogo e attenta alla voce dello Spirito

(Foto Vatican Media/SIR)

“Sia il Cristo la stella polare e al tempo stesso la bussola delle vostre attese, dei vostri incontri, dei vostri dialoghi, delle scelte che sarete chiamati a compiere”. È l’invito con cui l’abate di San Paolo, Donato Ogliari, ha aperto la sua meditazione, tenuta nel corso della sesta Congregazione generale del Collegio cardinalizio, nell’Aula nuova del Sinodo. Per l’abate, “la Chiesa radicata in Cristo è una Chiesa capace di incarnarsi nella storia e di attraversarla con fiducia in compagnia del suo Signore, non conformandosi ai criteri mondani di potenza e di dominio, ma modellandosi su quelli della mitezza e dell’umiltà, dell’amore misericordioso e compassionevole che Gesù ha incarnato nella sua vita terrena”.

“La Chiesa radicata in Cristo è una Chiesa aperta, coraggiosa e profetica, che aborrisce parole e gesti violenti, che sa farsi voce di chi non ha voce e che, se necessario, sa essere anche una voce fuori dal coro pur di indicare pervicacemente i sentieri della giustizia, della fraternità e della pace”,

l’identikit tracciato dal religioso: “La Chiesa radicata in Cristo è una Chiesa che è maestra di fraternità, insegnata con parole e gesti improntati al rispetto reciproco, al dialogo, alla cultura dell’incontro e alla costruzione di ponti e non di muri, come ci ha sempre invitato a fare Papa Francesco. La Chiesa radicata in Cristo è una Chiesa madre, non matrigna, che sa accudire e nutrire i suoi figli e le sue figlie ancorandoli alla speranza che non delude, l’amore di Dio riversato nei nostri cuori”. La Chiesa radicata in Cristo, infine,

“è una Chiesa che rifugge l’autoreferenzialità e che sa oltrepassare i propri recinti pur di raggiungere anche quei fratelli e sorelle in umanità che non fanno parte di essa e che sperimentano il non senso della vita o sono segnati dallo stigma dell’emarginazione e dell’esclusione”.

No, allora, all’individualismo imperante, che “ha avuto un impatto anche nella Chiesa”; sì invece a una Chiesa sinodale, basata su “una rivitalizzazione del cristianesimo inteso come ‘via’, così come lo percepivano le prime comunità cristiane, tratteggiate dagli Atti degli Apostoli, le quali vivevano la propria fede cristiana come un modo di andare dietro a Gesù e di testimoniarlo al mondo”.

Il “mutamento antropologico, che tocca in profondità la concezione dell’essere umano”; lo “stravolgimento delle regole che sostengono la coesistenza tra i popoli”, con le “sopraffazioni, lotte e guerre fratricide che ne derivano”; l’emergere di “democrazie post-democratiche e il diffondersi di autocrazie e nazionalismi che scombussolano l’ordine mondiale”.

Sono queste alcune delle “numerose sfide” che deve affrontare la Chiesa. “Si pensi all’insorgere di liberismi post-capitalisti che, basati sul puro profitto, non tengono in alcun conto la dignità della persona umana”, ha proseguito l’abate: “Si pensi alla devastazione del creato, nostra casa comune. Si pensi all’impatto che l’avanzare delle tecno-scienze sta avendo sulla vita delle persone e all’inquietante prospettiva che un giorno si possa diventare succubi dell’IA. Si pensi al fenomeno mondiale della migrazione e all’incapacità della politica di trovare soluzioni che rispettino il principio sacro dell’accoglienza, della solidarietà e dell’inclusione. Si pensi alla secolarizzazione pervasiva e invasiva che – almeno nelle società occidentali – rischia di far scomparire Dio dall’orizzonte esistenziale di molti, in nome di una spiritualità vaga e self-made. Si pensi alla concezione esclusivamente tecnico-funzionale della vita, dove predomina l’utilitarismo e il conseguente disinteresse circa il significato da dare alla storia e al nostro destino”.

La “via del dialogo” è “un elemento costitutivo della Chiesa, chiamata com’è ad andare verso tutti e a riconoscere in ogni uomo e in ogni donna la terra familiare di Dio”,

ha spiegato Ogliari. Tra le sfide inerenti alla vita della Chiesa, il religioso ha riconosciuto che

“molta strada è stata fatta nel prendere coscienza dell’esistenza nel suo seno di quella piaga purulenta rappresentata dagli abusi sessuali”,

piaga per la quale è stato chiesto perdono e per la quale sono stati messi in campo rimedi atti a debellarla. “Ma

uno smarrimento generalizzato serpeggia nella Chiesa

anche a proposito di altri ambiti della sua vita”, l’analisi: “Pensiamo alla preoccupazione derivante dalla rarefazione delle vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa; alla ricerca faticosa di nuovi linguaggi e approcci pastorali che parlino in maniera efficace all’uomo di oggi; al ripensamento del modello parrocchia, al ruolo della donna nella Chiesa; al rischio sempre incombente del clericalismo, della burocratizzazione del ministero presbiterale, ma anche dell’iper-attivismo che soffoca la vita spirituale e dissecca il pozzo della preghiera”.

“L’assunzione della pazienza è ciò che ci consente di perseverare, di non perderci d’animo e di non arrenderci di fronte agli insuccessi e ai fallimenti”,

l’indicazione di rotta all’insegna della speranza, tratto distintivo dei cristiani. “Anche se il luogo del conclave – come dice il termine stesso – è un luogo chiuso a chiave, esso sarà in realtà spalancato sul mondo intero, se a prevalere sarà la libertà dello Spirito che, quando tocca i cuori e le menti, ringiovanisce, purifica, ricrea”, l’invito finale al Collegio cardinalizio: “Lasciate che la luce dello Spirito incroci la vostra libertà; lasciate che entri in dialogo con voi; lasciate che si insinui nelle pieghe dei vostri colloqui, dialoghi, confronti; e lasciate che trovi posto anche nelle dinamiche, talora dialettiche, che caratterizzano ogni consesso umano, e dunque anche il vostro”.

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