Fu pochi mesi dopo l’incontro con un migliaio di famigliari delle vittime innocenti delle mafie, il 21 marzo 2014 nella chiesa di San Gregorio VII a Roma, che Papa Francesco dalla Piana di Sibari in Calabria tuonò contro la ‘ndrangheta e le altre organizzazioni criminali. In quell’occasione definì i mafiosi “adoratori del male, come lo sono coloro i quali vivono di malaffare e di violenza” e dirà che “sono scomunicati, non sono in comunione con Dio”.
Ci siamo chiesti cosa fare a partire da queste parole: abbiamo sentito il bisogno di approfondire alcuni temi e di creare un gruppo di lavoro apposito in Vaticano, per studiare la criminalità organizzata e la corruzione in quanto problemi globali del nostro tempo.
L’obbiettivo che si poneva era storico ed era quello di integrare tre testi: la Dottrina sociale della Chiesa, il Diritto canonico e il Catechismo, poiché tutti e tre presentano un vuoto per quanto riguarda la violenza mafiosa.
Sullo sfondo, c’era il bisogno di definire, di concerto con le Chiese nazionali, un Piano pastorale che facesse da guida per le Diocesi per svolgere un’azione educativa, culturale e sociale calibrata sui diversi contesti.
Aveva fatto allora scalpore l’uso, da parte del Papa, della parola “scomunica”, che va però precisato.
Perché non parliamo di una condanna da “santa inquisizione”, come molti hanno voluto leggerla, bensì come una “pena medicinale”, una punizione provvisoria indispensabile, in vista di una futura conversione.
Non c’è mai stata la prospettiva di emarginare le persone o chiudere la porta alla possibilità di un loro ritorno nella comunione con Dio e con la Chiesa. Ad essere condannati senza appello sono i comportamenti e le organizzazioni. Si chiede di rimuovere gli atteggiamenti, ma non nel senso di rifiutare la persona del mafioso: deve infatti stare a cuore alla comunità che anche lui o lei si penta e viva.
La Chiesa deve insomma accompagnare l’umanità nelle sue miserie e sofferenze, ma nello stesso tempo deve finalmente chiarire la totale contrarietà alle mafie come strutture di morte incompatibili col professarsi cristiani, anche in vista di un’azione pastorale efficace.
Sul tema delle organizzazioni criminali occorrono una dottrina, una posizione culturale, una definizione giuridica – e una “misura speciale” di diritto canonico – oltre appunto a una pastorale ben chiara.
Io credo che questo gruppo di lavoro abbia dato un primo importante contributo anche se a un certo punto il processo di studio ed elaborazione è stato rallentato e poi sospeso, per questioni interne al Vaticano che non sta a me sindacare.

