“È stata un’avventura straordinaria. Un’avventura nel vero senso della parola e poi straordinaria perché assolutamente sorprendente e imprevedibile”. Con queste parole, Andrea Monda, direttore dell’Osservatore Romano, descrive lo stupore e la gratitudine per il suo servizio come direttore dell’Osservatore Romano, il “giornale di partito” così come amava definirlo lo stesso Papa Francesco. “Nessuno poteva immaginare, io per primo, – aggiunge – che un professore di religione si sarebbe trovato a capo di una testata storica, unica al mondo, che esprime la voce e lo sguardo della Chiesa”.
Cosa è stato più difficile e cosa è stato più esaltante comunicare del pontificato di Francesco?
È stato bello! Innanzitutto, raccontare lui, Francesco, la cifra di quest’uomo che non si è mai risparmiato e lo abbiamo visto fino all’ultimo minuto. E poi narrare l’amore per la sua missione, per la Chiesa, per Gesù. La cosa più difficile è stata rendere pienamente ragione del suo pontificato, cioè, far capire ai lettori la complessità, la ricchezza umana dei suoi gesti e delle sue parole. Era un Papa che, pur parlando con grande semplicità, presupponeva, tutto un mondo interiore, spirituale. Una visione del mondo, che poi noi operatori della comunicazione eravamo chiamati a leggere e a far leggere.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)
Più volte è stato detto che raccontare questo Papa in fondo era facile… è stato proprio così?
La raffinatezza, la sottigliezza del suo pensiero erano tali da chiederci e verificare, ogni volta, se li avevamo raccontati in maniera giusta, cioè se veramente eravamo riusciti a far capire ciò che lui voleva dire, cosa c’era dietro le sue parole. Abbiamo pubblicato in questi sei anni molta teologia, ma anche molta letteratura, molta poesia, che non sono poi così diverse dalla teologia, dalla spiritualità, tutte queste cose stanno insieme. Francesco è stato un Papa che si è nutrito di tutta questa bellezza e ce l’ha restituita in maniera tutta sua, personale. Lui non citava esplicitamente gli autori, ma nel suo Magistero c’era un mondo di autori, nei suoi discorsi, nelle sue omelie, in tutto quello che diceva e in tutto quello che esprimeva. Per esempio, Romano Guardini, lui non lo citava quasi mai, ma era il suo teologo di riferimento. Era il suo mondo teologico. Avviare processi, non occupare spazi, evitare la polarizzazione … sapeva vivere dentro questa tensione non con “out-out” ma con un “et-et”. Aveva un senso molto incarnato, materialistico della religione. Come quando, ad esempio, ricordava che stare con i poveri, toccare i poveri, è toccare la carne di Cristo. Espressioni forti, che dicono di un papa forte della forza di Cristo. Un papa che non ha fatto sconti, neanche a sé stesso. Ruvido a volte ma che ha sempre detto le cose pane al pane e vino al vino.
Credi che il suo messaggio sia stato compreso o dobbiamo in qualche modo ancora metabolizzarlo?
Secondo me l’essenzialità del suo messaggio è stata compresa. Dobbiamo però ancora metabolizzarlo, come un buon cibo, di cui percepisci subito il sapore, il profumo, ma ne scopri il retrogusto buono nel tempo. O se vuoi come una buona medicina, che ha subito un effetto terapeutico e che allo stesso tempo è anche a lento rilascio. Ecco, Francesco è un Papa a lento rilascio, un Papa che devi metabolizzare, come dici tu. Sì, ci vorrà tempo. E sono sicuro che verrà riscoperto. Questo è un po’ il destino di tanti pontefici. Aggiungo poi che Papa Francesco, ha regnato, usiamo questo termine, dodici anni, ma a me, proprio per la densità del suo messaggio, sono sembrati molti di più.
Perché?
Perché lui ogni giorno avviava un progetto, apriva un fronte, poneva un tema, compiva un gesto imprevedibile. Quindi densità, tanta densità. Senza dimenticare poi che in questi dodici anni c’è stato almeno un anno e mezzo di blocco a causa del Covid.
Cosa ha caratterizzato la vostra comunicazione e come avete interpretato il ruolo di mediatori?
La vera sfida, come Osservatore Romano e media vaticani, è stata quella di fornire ai lettori le chiavi di lettura di questo pontificato, anche se poi, nel corso degli anni il Papa si è quasi consolidato su alcuni temi. Non a caso andava ripetendo alcune espressioni e alcuni concetti in maniera incessante. E questo alla fine ci ha aiutato.
Francesco ha sempre avuto presente che il popolo va accompagnato, ed è per questo che amava ripetere le cose.
Come fa un maestro a scuola? Ti fa ripetere. Non solo, prima le ripeteva lui, e poi chiedeva a tutti di ripeterle. C’era sempre un momento in cui diceva: “e adesso ripetete con me”. E che cosa era questo modo di agire se non un raffinato metodo pedagogico? Un metodo dietro al quale, a mio avviso, c’era un pensiero più profondo. Per lui, in quanto Vescovo, il popolo non era il ricevitore passivo di un messaggio, una catechesi, un documento o un testo. Non considerava il fedele come qualcuno cui si deve far calare tutto dall’alto. Un ricevitore passivo.
Per lui invece ogni fedele è protagonista e quindi, di conseguenza, il popolo deve diventare protagonista.
Un tratto questo, che da subito ha caratterizzato il suo pontificato. Dal suo affaccio alla Loggia delle Benedizioni, quando, prima di impartire la sua benedizione chiede al popolo di benedirlo e di pregare per lui. Ecco il primo invito a diventare protagonisti. Il Vescovo è per il popolo e cammina insieme al suo popolo. Già viveva la sinodalità, era il 13 marzo del 2013, ma era già lì.
In questi giorni, come media vaticani, state raccontando la fine di un pontificato in attesa del nuovo. Come si vive questo momento?
Beh, il papa è un pastore che ha la responsabilità del suo gregge ed è inevitabile che prima o poi giunga il momento del distacco, che è un trauma, una ferita, è un vuoto. Ma anche qui c’è forse l’ultima grande lezione, l’ultimo insegnamento di questo papa. Il pastore è anche un educatore e letteralmente educare vuol dire condurre fuori. Credo che il desiderio del papa sia stato proprio quello di condurre fuori il gregge lui affidato e il gregge deve continuare a camminare. È come se il papa continuasse a dirci: “io ho compiuto la mia missione, ora tocca a voi”. Anche noi vogliamo bene al papa. Con lui è nato un rapporto, personale, quindi anche noi viviamo lo strappo.
Dobbiamo però fare come faceva lui, che non si fermava mai, non occupava spazi ma avviava processi ben consapevole del fatto che l’educatore non pretende di raccogliere frutti ma è sicuro che altri li raccoglieranno.
Francesco era un uomo libero, andava avanti, camminava. E questa, credo, sia la lezione più difficile da comunicare, perché siamo più o meno tutti malati di autoreferenzialità, di narcisismo. Francesco è stato il grande antidoto alla società dell’individualismo.
Puoi specificare meglio questo concetto…
Sì, e lo faccio con un esempio. L’Oxford Dictionary, ogni anno rende nota qual è stata la parola più rappresentativa e per il 2013 stabilì che la parola era “selfie”. Iniziava l’era del “farsi un selfie”. In quello stesso anno viene eletto papa Bergoglio che, secondo me, è stato “l’anti-selfie” per eccellenza. Attenzione, il Papa non ha mai stigmatizzato il selfie. Anzi, troppi ne ha fatti. Non si è sottratto a questa pratica, li ha fatti con tutti, insieme agli altri, giovani adulti, spezzando però l’individualismo proprio del selfie. Non li ha contestati come un vecchio bacchettone, sapeva infatti che non sarebbe servito a nulla, ne ha fatto invece uno strumento per entrare in contatto, in relazione e questo è un grande insegnamento.
Andrea, da direttore, c’è un episodio che puoi raccontarci e lasciarci come aneddoto?
Non ce ne è uno in particolare. Posso dirti una cosa però: in ogni nostro incontro c’era sempre un momento in cui usciva fuori il suo humor, il suo buonumore. Mi colpiva poi anche la sua capacità di memoria. Voglio dire, cioè, che quando ci si incontrava, magari a distanza di tempo, lui riprendeva il discorso lì dove lo aveva lasciato, come ci fossimo visti il giorno prima. In questo risiedeva la sua totale attenzione e delicatezza nei confronti del suo interlocutore che sentiva che era ascoltato con sincerità e curiosità. Davvero bello. Lui era il papa, eppure, senza perdere in autorevolezza né in autorità, sapeva sempre metterti a tuo agio. Quando eri con lui ti sentivi accolto e potevi parlare come avresti parlato a un vecchio zio che ti conosce da quando sei nato. Lo ricorderò sempre.

