
Athenagoras di Terme (Foto Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia)
“Papa Francesco si è proposto non come una figura irraggiungibile, ma come un padre in ascolto con tutti, con i figli più prossimi ma anche con tutti gli altri cristiani. E tutti i cristiani lo hanno rispettato”. E’ forse questa la “chiave” che ha permesso a Papa Francesco di fare breccia anche tra i leader e i fedeli delle altre Chiese cristiane. Dell’impegno ecumenico di Papa Bergoglio ne parliamo con mons. Athenagoras Fasiolo, vescovo di Terme della Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia (Patriarcato ecumenico).
Che rapporto c’era tra papa Francesco e patriarca Bartolomeo e che messaggio dava al mondo ecumenico questa profonda amicizia umana e spirituale?
Certamente quello tra il Patriarca Bartolomeo e Papa Francesco è stato innanzitutto un rapporto di amicizia fraterna, nata spontaneamente, come mi disse una volta Sua Santità il Patriarca, quando al momento della intronizzazione di Papa Francesco sentì un desiderio fortissimo di andare a Roma. Era la prima volta che un Patriarca ecumenico presenziava di persona alla intronizzazione del Vescovo di Roma. Da quel giorno, questa amicizia è cresciuta. C’era una condivisione di intenti e pensiero tra di loro molto profonda, una capacità di dialogo. Credo che questo rapporto così speciale tra i due, abbia dato al mondo una testimonianza del messaggio cristiano. Pensiamo solo ad alcuni avvenimenti che li hanno visti insieme: l’anniversario a Gerusalemme dei 50 anni dell’incontro tra Patriarca Athenagoras e Paolo VI a Gerusalemme; l’impegno condiviso per il processo di pace tra ebrei e palestinesi e l’incontro a Lesbo per i migranti. E non possiamo dimenticare il comune impegno per il creato tanto che lo stesso Papa Francesco nella Laudato Si’ cita il Patriarca Bartolomeo. E i due – già dal 2014 – stavano preparando le iniziative per commemorare il Concilio di Nicea.
Avevano la gioia di arrivare a quel momento e di coinvolgere tutte le chiese cristiane. Purtroppo, il Signore ha deciso diversamente, ma questo non fermerà il processo.

Quale tratto specifico e determinante aveva a suo parere papa Francesco per “sfondare” nel movimento ecumenico?
Per quanto riguarda la Chiesa ortodossa – ma credo sia stato così anche per le altre chiese cristiane – c’è stata una grande sorpresa quando lui si è definito “vescovo di Roma”.
Certo, Primus ma vescovo di Roma. Si è dunque posto in una predisposizione all’ascolto, arrivando anche a mettersi in discussione. Credo che la grande capacità di Papa Francesco nel movimento ecumenico sia stata proprio quella di sapersi proiettare al futuro, ma sempre guardando al passato. Alcuni lo accusano di essere stato un modernista. Io invece credo che Papa Francesco abbia incardinato il messaggio dalla Chiesa fin dai primi secoli in una lingua nuova, più comprensibile al popolo di oggi, soprattutto nel mondo occidentale. Papa Francesco si è proposto non come una figura irraggiungibile, ma come un padre in ascolto di tutti, dei figli più prossimi ma anche con tutti gli altri cristiani. E tutti i cristiani lo hanno rispettato.
A fronte di queste testimonianze e di questa grande figura che è stata Papa Francesco, perché allora il dialogo sembra essersi fermato?
No, non credo assolutamente che il dialogo si sia fermato. Dobbiamo piuttosto pensare che, per esempio, il dialogo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa ha ormai raggiunto almeno nelle questioni principali, il suo scopo. Pensiamo agli ultimi argomenti, come quelli sul ruolo del vescovo di Roma, il ruolo del primato e della sinodalità all’interno della Chiesa. Sono tutti temi ampiamente sviscerati. Non nascondiamoci però il fatto che purtroppo sul dialogo pesano i problemi del mondo, la geopolitica, i rapporti con la Russia e con l’Ucraina. Tutto questo, come voi sapete, ha creato un grande problema tra i patriarcati di Costantinopoli e di Mosca. Detto questo, però non credo che il dialogo si sia fermato. Credo piuttosto che il dialogo debba trovare modi diversi di esprimersi. Non c’è più il dialogo ecumenico degli anni ‘70, ‘80, ‘90, che si fondava sulla novità del conoscersi e incontrare. Il dialogo oggi è già nel popolo ma non lo è in tutte le chiese. Dobbiamo quindi dare il tempo che ogni popolo, in base alla sua esperienza storica, possa recepire l’importanza del dialogo.
Il dialogo è una via senza ritorno.
Quale eredità lascia Francesco?
È una grande eredità. Come dicevo, papa Francesco ha molto sottolineato il fatto di essere il vescovo di Roma, senza rigettare nulla della teologia cattolica sulla visione del vescovo di Roma. Credo che al suo successore lasci questo essere pastore di comunione con tutte le chiese cristiane. Ci sono poi i temi della salvaguardia del creato e di una spiritualità ecologica. Penso poi al problema della pace e della giustizia sociale. E infine, ci sono i 1700 anni del Concilio di Nicea e il problema della data della Pasqua. Spero che il futuro Papa voglia intraprendere il viaggio a Nicea con il Patriarca e che lì, si possano incontrare tutte le grandi famiglie cristiane per dare una testimonianza comune e trovare nei modi che Dio vorrà, anche una soluzione per la data della Pasqua.

