Dignità da riconoscere, sempre

Il documento reso noto lunedì dal Dicastero per la Dottrina della Fede "Dignitas infinita" riecheggia nel titolo la dichiarazione "Dignitatis humanae" del Concilio Ecumenico Vaticano II, varata il penultimo giorno dell'assise, il 7 dicembre 1965. Quel testo si riferiva alla "libertà religiosa" come diritto inviolabile: e fu un passo avanti rispetto anche a concezioni ecclesiali precedenti (come ad esempio quella della semplice "tolleranza religiosa", su cui si attardarono i 70 vescovi contrari sui circa 2400 votanti), ma orientato soprattutto ad esigerla rispetto a regimi oppressivi, come allora quelli comunisti, e ora diremmo più chiaramente anche quelli delle teocrazie islamiche.

Il documento reso noto lunedì dal Dicastero per la Dottrina della Fede “Dignitas infinita” riecheggia nel titolo la dichiarazione “Dignitatis humanae” del Concilio Ecumenico Vaticano II, varata il penultimo giorno dell’assise, il 7 dicembre 1965. Quel testo si riferiva alla “libertà religiosa” come diritto inviolabile: e fu un passo avanti rispetto anche a concezioni ecclesiali precedenti (come ad esempio quella della semplice “tolleranza religiosa”, su cui si attardarono i 70 vescovi contrari sui circa 2400 votanti), ma orientato soprattutto ad esigerla rispetto a regimi oppressivi, come allora quelli comunisti, e ora diremmo più chiaramente anche quelli delle teocrazie islamiche. Un diritto fondamentale che attiene alla persona umana libera di decidere l’orientamento della propria vita ascoltando la voce della coscienza, luogo sacro dell’incontro con Dio. Ma l’attuale documento ha un riferimento più esplicito nella “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”, dal momento che esce appunto nel 75° anniversario di quel testo “laico” approvato all’ONU (Parigi, 10 dicembre 1948). Da allora sono stati tanti i diritti che si sono voluti affermare e garantire più o meno ufficialmente, più o meno universalmente. L’ultimo che si vuole inserire addirittura nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, dopo il bell’esempio della Francia, sarebbe quello dell’aborto, dimenticando che non può esistere un diritto ad uccidere, tanto meno l’essere umano più debole quale è un nascituro. Bene ha fatto la Commissione delle Conferenze Episcopali dell’Unione Europea (Comece) a stigmatizzare un tale tentativo (per altro esperito proprio l’11 aprile) chiarendo che una Carta fondamentale non può includere un tale (falso) diritto, non riconosciuto da tutti e divisivo. Anche la recente dichiarazione vaticana punta con severità, ancora una volta, contro questo “delitto” (altro che “diritto”!) definito “particolarmente grave e deprecabile”, senza margini per quanti vorrebbero cambiamenti in questa perenne dottrina della Chiesa. Ma vi si parla, evidentemente, anche d’altro: si potrebbe dire che si affronta un po’ di tutto nell’ambito della morale come dell’etica personale, medica e sociale. Si può anche affermare che, sostanzialmente, non c’è nulla di nuovo, in quanto viene ribadito l’insegnamento del magistero precedente. Ma, anche a giudicare dal tempo che ha richiesto la sua gestazione – cinque anni, con varie bozze e versioni -, sicuramente ha intenzione e motivo di incidere decisamente sulla mentalità e sulle vicende del nostro tempo, almeno nella misura in cui potrà essere ascoltato. Più che di novità, si dovrà dunque parlare di forte pronunciamento contro ogni rischio di esitazione in alcuni ambiti o di adulterazione della dottrina. Partendo da principi basilari, quali appunto la “dignità ontologica” (cioè legata all’essere stesso dell’uomo) e “intrinseca” (cioè derivante dalla sua mera identità) di ogni persona umana, contro ogni fraintendimento e ogni tentativo di ridurla in base alle sue capacità e potenzialità – in un’epoca in cui, peraltro, si assiste alla continua rivendicazione e approvazione di nuovi diritti senza reale fondamento ma solo per blandire un’opinione pubblica sempre più individualistica -, il testo puntualizza anche il concetto di libertà, spesso solo millantato, che non può significare licenza di fare qualsiasi cosa ma deve rispondere al criterio della fraternità e dell’amore. Una novità si può cogliere in questo testo magisteriale nell’accogliere anche citazioni “laiche”, come quelle dei filosofi René Descartes e Immanuel Kant (topico il riferimento all’imperativo categorico secondo cui nessun uomo può essere trattato come mezzo ma solo come fine). Nella serie di cruciali tematiche affrontate nell’ultima parte emerge il punto di partenza di una dignità misconosciuta, cioè quello della povertà; e via via tutte le altre situazioni marginali che crocifiggono – anziché aiutarli a risorgere – l’uomo e la donna, i bambini e gli anziani… Un doveroso accento contro la violenza sulle donne; ma anche contro ogni forma di avvilimento degli omosessuali. Punti ben aggiornati ed equilibrati ci sembrano quelli riferiti alla questione del gender e del cambio di sesso, come pure quello relativo all’area digitale, dal cyberbullismo ad ogni altra forma di esclusione, sfruttamento e violenza.

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