“Scambio di pulpito” a Pinerolo. Mons. Olivero (vescovo): “Dare parola all’altro è un gesto enorme di fiducia”

È tradizione ormai da tanti anni fare - in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani - lo “scambio dei pulpiti”, per cui una domenica il vescovo va al tempio e tiene il sermone dentro il culto valdese, e l’altra domenica è la comunità valdese a preparare la predica per la messa cattolica in cattedrale. La comunità valdese decide chi tiene l’omelia e quest’anno per la prima volta hanno fatto insieme il pastore e una donna laica. “Parlarsi è una cosa - osserva il vescovo Olivero -, ma dar parola è diverso perché implica un enorme rispetto, una fiducia certa, un apprezzamento sincero”

Pinerolo, "scambio dei pulpiti" (Foto Vita diocesana Pinerolese)

Pinerolo, “scambio dei pulpiti” (Foto Vita diocesana Pinerolese)

Prove tecniche di ospitalità e ricerca di strade nuove con l’obiettivo di “creare una forma di Chiesa più adeguata al mondo di oggi”. E’ quanto si è vissuto nella diocesi di Pinerolo dove è tradizione ormai da tanti anni fare – in occasione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani – lo “scambio dei pulpiti”, per cui una domenica il vescovo va al tempio e tiene il sermone dentro il culto valdese, e l’altra domenica è la comunità valdese a preparare la predica per la messa cattolica in cattedrale. La comunità valdese decide chi tiene l’omelia e quest’anno, per la prima volta, hanno fatto insieme il pastore e una donna laica. “Dar parola ad altri è un gesto importante”, commenta subito mons. Derio Olivero, vescovo di Pinerolo e presidente della Commissione Cei per l’ecumenismo e il dialogo. “Per la comunità valdese, dare parola al vescovo è un gesto enorme. Ma questo vale anche per i cattolici che invitano un valdese a predicare durante la messa. Parlarsi è una cosa, ma dar parola è diverso perché implica un enorme rispetto, una fiducia certa, un apprezzamento sincero”.

Cosa lasciano queste iniziative di ospitalità della Parola?

Mi pare importante il fatto che oltre al vescovo o al pastore che predica, c’è anche una parte della comunità che si reca a vivere questo momento di scambio. I cattolici sono andati al tempio a vivere il culto e una parte di valdesi è venuta in cattedrale. Una cosa è essere amici e lo siamo ormai da parecchi anni. Nell’ecumenismo possiamo dire di essere giunti all’amicizia. Un po’ diverso è dimostrare la reale stima in quello che l’altro fa. Sembra sempre che l’altro faccia un po’ meno e che noi siamo i migliori. Si tratta certamente di un gesto simbolico che non risolve i problemi dell’ecumenismo ma è un gesto forte che dice:

io ti stimo al punto che lascio a te il compito di parlare, istruire e predicare.

Cosa indica alla Chiesa cattolica in Italia che è impegnata in un processo sinodale, questo tipo di esperienza che richiede fiducia nell’altro?

Credo che questo sia uno dei punti fondamentali. Quest’anno, per il processo sinodale, si sono aperti tre cantieri e uno di questi è l’ascolto della strada, cioè di coloro che non fanno parte del nostro giro. E tra i primi da ascoltare ci sono certamente i fratelli cristiani di altre confessioni. Il punto è sapere che non andiamo incontro all’altro per insegnare ma per imparare, per dare parola, per scoprire e apprezzare. Il cantiere della strada è proprio questo. Perché si è convinti che Gesù Cristo lavora in maniera molto più ampia della Chiesa cattolica. Sta lavorando in ogni uomo e in ogni donna, in ogni confessione religiosa e cristiana. Uscire con questo atteggiamento, credo che sia estremamente importante e il gesto del dare la parola è indicativo di questo stile.

Secondo lei la Chiesa cattolica in Italia, è capace di farlo?

Sicuramente c’è l’intenzione e io lo vedo. Capisco che è estremamente difficile perché perdere posizioni può sembrare solo una sconfitta e una perdita. E quindi a volte manca il coraggio. Ma l’intenzione c’è. Indubbiamente non siamo abituati. Il mondo era diverso. Il rischio oggi, in questo tempo di crisi dell’appartenenza e della rilevanza anche della Chiesa, è di essere – senza accorgercene – autocentrati. Spesso tutte le energie sono spese per gestire personale, collaboratori, catechisti e tutte quelle forze necessarie per gestire le parrocchie. Siamo stracarichi di questo assillo e sembra di non avere sufficienti energie per uscire. E invece uscire vuol dire ossigenare.

Se non si fa, qual è il rischio più grande?

E’ uscito un libro in Francia di Danièle Hervieu-Léger dal titolo “Vers l’implosion?”. A me ha molto colpito perché ci dice che continuare a spendere energie per guardare all’interno, porta all’implosione, al rischio cioè di impicciolirsi ulteriormente e spegnersi.

L’ecumenismo aiuta?

Credo che l’ecumenismo debba fare un ulteriore passo, rendersi cioè conto che tutti insieme, cattolici, protestanti, ortodossi, nuove chiese, siamo una minoranza rispetto a tutti coloro che non frequentano i nostri contesti. Il cristianesimo in sé – e non solo il cattolicesimo – è diventato una minoranza nelle nostre società occidentali. E’ dunque estremamente importante capire che questo compito dell’uscire e del guardare fuori sia una prospettiva che ci accomuna ed una sfida che dobbiamo assumere insieme. Possiamo così mostrare innanzitutto una capacità di dialogo ma soprattutto proporre stili diversi di vivere il cristianesimo.

Ma dove si vuole arrivare?

Il nostro grande obiettivo è creare una forma di Chiesa più adeguata al mondo di oggi. Lo sappiamo tutti, il mondo è cambiato radicalmente e percepisce la nostra Chiesa come “cosa fuori”, “cosa al lato”, quasi come un corpo estraneo. E noi invece proprio per la potenza del Vangelo che abbiamo, dobbiamo cercare di essere una forma di Chiesa adeguata al giorno che viviamo. E’ una grandissima fatica ma il cammino sinodale ha questo obiettivo. Se si guarda solo al dentro, resteremo sempre uguali a noi stessi. E’ solo mettendosi da un’altra prospettiva che può venire la capacità di cambiare.

Altri articoli in Chiesa

Chiesa