Benedetto XVI: “Fortiter in re, suaviter in modo”

Benedetto ha interpretato con finezza e precisione una teologia kerigmatica, ovvero uno studio sistematico delle verità teologiche all'interno di una struttura che possa servire direttamente e immediatamente a preparare e promuovere la predicazione della Verità della rivelazione al popolo cristiano. Una teologia fortemente orientata al dialogo tra fede e ragione, decisamente fondata sulla Scrittura, sui Padri e sulla Tradizione

foto Sir/Marco Calvarese

Fortiter in re, suaviter in modo (energicamente nella sostanza, dolcemente nei modi) è un’espressione molto cara alla tradizione spirituale cristiana e che ben definisce l’imponente operato teologico di Benedetto XVI, mite per i toni e le proposizioni e mirabile per la profondità dei concetti espressi con forza e nella convinzione che la rivelazione, nei suoi contenuti, non è mai negoziabile. Benedetto ha interpretato con finezza e precisione una teologia kerigmatica, ovvero uno studio sistematico delle verità teologiche all’interno di una struttura che possa servire direttamente e immediatamente a preparare e promuovere la predicazione della Verità della rivelazione al popolo cristiano.

Una teologia fortemente orientata al dialogo tra fede e ragione, decisamente fondata sulla Scrittura, sui Padri e sulla Tradizione.

L’imponente lavoro teologico di Joseph Ratzinger, impossibile da sintetizzare in poche righe, ha il grande merito di fondare le proprie tesi su argomentazioni doviziosamente documentabili e sostenibili, sempre poggiate sulla Tradizione del dogma. Impressionante il rigore del pensiero e delle formulazioni. Nella sua abbondante produzione, parliamo di più di cinquanta libri senza contare la mole enorme di appunti e articoli, si evidenziano alcuni tratti caratteristici del suo pensare teologico.

La prima e più importante caratteristica della teologia di Joseph Ratzinger è certamente il primato riconosciuto alla Parola di Dio come fonte e al contempo criterio probante di ogni concettualizzazione teologica: questo permette di ridurre la teologia a dottrina o a ipotesi possibili. La Scrittura, così come è trasmessa dallo Spirito Santo nella Tradizione della Chiesa, non deve servire a giustificare le speculazioni, bensì deve precederle e normarle. La seconda caratteristica è quella di aver affrontato in modo sistematico il rapporto tra fede e ragione.

Fede e ragione sono i valori in cui ho riconosciuto la mia missione”, dice Benedetto XVI nelle Ultime conversazioni. La teologia per Benedetto XVI non è “una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”. Ratzinger ha difeso ampiamente questa affermazione, anzitutto sul piano storico, a partire dalla sua prima prolusione accademica, nel 1959 all’Università di Bonn, dal titolo “Il Dio della fede e il Dio dei filosofi”, e poi da Pontefice all’Università di Regensburg. Nell’opera “Gesù di Nazareth”, in tre volumi, ha voluto mostrare che la fede non è un elenco di proibizioni ma un rapporto di amicizia con il Dio fatto uomo. Ha posto i temi della povertà e dell’Africa, dei giovani, della famiglia, dell’ecumenismo e dell’annuncio della fede al mondo secolarizzato. Molteplici le considerazioni sul ruolo dell’Europa. La sua teologia, tuttavia, si concentra nelle sue ultime parole prima di incontrare la Verità che ha sempre cercato e che ha caratterizzato tutto il suo agire di Vescovo. Parole che sono state la trama della sua prima enciclica, Deus Caritas est, e che sintetizzano la Summa Theologiae di Papa Benedetto XVI; “Signore ti amo”.

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