Un Natale che torna verso l’essenziale

Consigli di lettura e d’arte per il periodo di Natale

foto SIR/Marco Calvarese

Ci sono libri che ci fanno ricchi dentro, come questo “Il Natale nell’arte d’oriente e d’occidente”, che potrebbe essere un utile -e bello- dono per le festività, scritto da due esperti d’arte cristiana e non solo, come François Boespflug ed Emanuela Fogliadini: una lunga e articolata tradizione viene ripercorsa, riprodotta con splendide e particolareggiate immagini a colori, e analizzata alla luce delle acquisizioni iconografiche a noi contemporanee, tenendo tra l’altro -ed è particolare di grande importanza- conto delle mutazioni del punto di vista del fruitore. Anche quando, come nel caso della Nascita di Gesù, inchiostro acquarellato di François-Xavier de Boissoudy, tutto sembra cambiato. In realtà per porre in evidenza quello che il testo esplicativo chiama, ricordando religiosamente il trauma del laico impatto con la metropoli di Baudelaire narrato da Benjamin, lo “shock di natura spirituale” dell’artista. Un ritorno, come fece il Botticelli della Natività mistica, qui non citato, alla essenzialità iconica, che, come vediamo in questo stesso libro conoscerà alcuni episodi anche novecenteschi. Solo che nel caso della recentissima -2017- Nascita di Gesù del pittore francese (è nato a Cambray nel 1966) si assiste a quello che anche in ambito artistico e letterario si chiama epifania, cioè ri-apparizione di qualcosa di noto in modo da risultare straniante:

la scena della Natività è inquadrata tra le zampe dell’asinello degli apocrifi, come attraverso una bifora umile, naturale, dal fondo della quale una energia sovrumana, suggerita dalla intensa luce, proviene dalle estatiche presenze di Maria e Giuseppe di fronte ad un piccolo, neanche definito nel disegno, come a offrire l’idea di un oltre le percezioni umane.

Il ritorno all’icona dei semplici e dei poveri, ritorno al presente, se lo si mette in drammatica relazione con le scene dei popoli in fuga tra i boschi e nei mari d’oggi: ritorno, in questo libro, ad un passato databile al quarto secolo della nostra era, e non, come si potrebbe pensare, nel vicino oriente o a Roma, o in una delle capitali del mondo antico, ma in un rilevo di sarcofago rinvenuto ad Arles, Provenza, nel quale si vedono i magi da tipico berretto frigio che indicano stupiti la stella, un Bambino assai più grande di quanto ci si attenderebbe, la Madre che inizia da qui a portarsi la mano sinistra sotto il mento, in una espressione tra la gioia e la preoccupazione per la profezia sul sacrificio del Figlio; appare una presenza maschile a destra della mangiatoia, che inizia l’antica questione di un Giuseppe apocrifo combattuto da dubbio sulla paternità (talvolta, nelle opere dei secoli a venire, avvicinato da una malalingua che gli rinfocola il dubbio): questa arcaica figura che alza la mano destra in segno di stupore o giubilo e tiene un bastone ricurvo con la sinistra è un pastore accorso sul luogo, come farebbe pensare il povero abbigliamento, e come sembrano condividere gli estensori del testo, o è invece Giuseppe, talvolta sacrificato dalle iconografie a venire?

Resta la testimonianza di un archetipo involontario, che affascinerà anche grandi geni dell’arte a partire dal rinascimento, quello della semplicità, della cessazione di tutte le illusioni e gli intellettualismi per tornare allo stupore originario.

Lo si vede, in questo libro, più avanti, in alcuni evangelari (quello di San Bernardo di Hildesheim, ad esempio, e siamo alle porte del Mille), in cui quello che importa realmente è il significato profondo, quello del simbolo, che da sé, senza estenuate esercitazioni artistiche, è in grado di parlare agli abissi indicibili dei cuori. Anche quando, nel 1894, Maurice Denis dipinse La Natività di Fourqueneux, ora nel Museo degli Agostiniani, a Tolosa, in cui si fanno i conti con la povertà moderna, non più e solo quella antica: nel vano-magazzino a piano terra di una casa come tante, una mamma, tra pecore, attrezzi e fieno accumulato, poggia delicatamente il suo viso vicino a quello del piccolo, con un uomo (di nuovo la domanda posta dagli autori: san Giuseppe, o un novello Buon Samaritano?) che porge una tazza verso la donna. La periferia, un parto, durante il viaggio, magari, una nuova stalla, un posto sotto un palazzo condominiale, la città intorno. Tutto è cambiato per non cambiare nulla. C’è ancora gente per strada, nonostante le luci sparate nelle nuove città unicamente commerciali e cosumistiche, che non sa dove andare, con bambini a rischio fame e morte per assideramento. C’è posto, da qualche parte. Forse. François Boespflug e Emanuela Fogliadini, “Il Natale nell’arte d’oriente e d’occidente”, Jaca Book, 212 pagine, 70 euro.