Mentre ancora si valutano gli esiti del G20 (il gruppo dei venti Paesi più ricchi al mondo) tenutosi a fine ottobre a Roma e di COP-26 (la conferenza delle Nazioni Unite sui temi del cambiamento climatico) svoltosi a Glasgow, l’Italia fa un bilancio dei tanti effetti positivi scaturiti dall’evento mondiale tenutosi sotto la presidenza Italiana. Risultati ancora più incoraggianti, se si tiene conto che il tema centrale – i danni derivanti dall’inquinamento atmosferico – affrontato dai grandi del mondo, era fino a qualche anno fa pressoché distante dall’attenzione dei cittadini. Una recente indagine realizzata a fine ottobre dall’Istituto Demopolis , in concomitanza con il G20 e l’avvio di COP-26, ha rivelato una sempre maggiore preoccupazione degli italiani per l’inquinamento e i suoi tragici effetti. Secondo lo studio, due italiani su tre si sono dichiarati “molto o abbastanza preoccupati” per il cambiamento climatico e per il suo impatto sull’ambiente, mente soltanto un quarto dei cittadini non sembra, ancora, preoccuparsene. Il grado di attenzione degli italiani per l’ambiente – è detto nella ricerca – è cresciuto di ben 24 punti negli ultimi 20 anni: era del 42% nel 2001, raggiunge oggi il 66%, con una crescita molto significativa specialmente negli ultimi anni. A nessuno può sfuggire l’effetto positivo su questo livello incoraggiante di coscienza civile collettiva impresso da vari fattori: l’Enciclica di Papa Francesco “Laudato sì”, i danni in ogni ambito del pianeta, non ultimi quelli provocati dal ciclone Apollo in Sicilia e Calabria, oltre che dalle manifestazioni sempre più ampie dei giovani che si rifanno a Greta Thunberg. Più che giustificate, allora, le attese che la pubblica opinione ripone sulle decisioni che i grandi del mondo prenderanno a conclusione di queste due importanti assise per scongiurare ulteriori danni all’umanità. A parole – il bla, bla, bla, – sembrano tutti convergere sulla necessità di contenere l’aumento della temperatura del pianeta, considerata una delle cause principali dei danni ecologici, riducendo da subito, almeno di un punto e mezzo, l’utilizzo del carbone, considerato una delle fonti primarie di inquinamento. Anche se Cina, India e Russia, pur convenendo su tale misura, si sono dati tempi che vanno oltre il 2050. Al di là delle volontà politiche siamo di fronte a processi complessi condizionati, purtroppo, da forti interessi economici che richiedono tempi di realizzazione lunghi. A Roma si sono gettate le basi per portare avanti a livello mondiale una questione di portata epocale. La regia del Premier Draghi, impeccabile e unanimemente apprezzata da tutti i Capi di governo, ha costituito sicuramente un punto di forza per la riuscita dell’evento. Così come non hanno guastato i vari momenti distensivi offerti dalla Presidenza italiana, quale, tra tutti la monetina gettata dai grandi del mondo nella Fontana di Trevi. Ma al di là dei discorsi, delle curiosità, degli impegni assunti e delle aspettative, l’immagine che più rimarrà impressa nella memoria di tutti è quella foto che mette a fianco dei “grandi” che decidono sulle sorti del mondo, i rappresentanti delle categorie dei medici, degli infermieri e dei volontari che ogni giorno si prodigano, anche con il dono della vita, per lenire le sofferenze di chi è in stato di bisogno. Una scelta geniale quella di presentare al mondo intero, con uno scatto, il volto migliore dell’Italia. Un’immagine che, oltre a gratificare in maniera tangibile i tanti professionisti della sanità e i volontari per l’impegno e i sacrifici profusi durante la pandemia, ha contribuito a dare un valore aggiunto al G20 di Roma. In quella foto rimarranno per sempre immortalati i rappresentanti degli oltre 800 mila fra medici e infermieri e dei sei milioni di volontari che si prendono cura, in Italia quotidianamente, delle persone. Un’effigie tanto edificante da offuscare e rendere ancora più ridicola la presenza di una sparuta minoranza che con cortei e proteste, spesso immotivati, contro i vaccini e i green pass, sta provocando gravissimi danni non solo all’immagine del Paese, ma al precario equilibrio su cui regge la situazione pandemica.
(*) direttore de “La Vita diocesana” (Noto)

