Il lievito cristiano

Un anno così verrà ricordato per molto tempo. Entrerà nei libri di storia. Una storia che adesso noi siamo chiamati a vivere, a capire, a interpretare, ad attraversare. Ci piaccia o no, questo è ciò che ci sta davanti, ora, giorno per giorno, con fatiche annesse

L’importante è interrogarsi. Credo sia un’azione apprezzabile da intraprendere, in questo lungo periodo così complicato e tanto condizionato dalla pandemia. Un anno così verrà ricordato per molto tempo. Entrerà nei libri di storia. Una storia che adesso noi siamo chiamati a vivere, a capire, a interpretare, ad attraversare. Ci piaccia o no, questo è ciò che ci sta davanti, ora, giorno per giorno, con fatiche annesse.

Ma quando mai la realtà non è complessa?

Forse che i nostri nonni e i nostri padri hanno avuto vita più semplice della nostra? Quando accade che tutto fila via liscio senza intoppi?

Ci arrabbiamo. Siamo stanchi, anche giustamente. Diciamo in ogni occasione che non ne possiamo più di queste restrizioni.

Vogliamo uscire. Vogliamo riavere le nostre libertà di movimento e di relazioni.

Sono tutte legittime aspirazioni. E ci mancherebbe. A noi, uomini e donne di fede, cosa viene richiesto? Come siamo chiamati a leggere questo tempo così travagliato? In che modo possiamo dare testimonianza ai nostri contemporanei? “Il lievito cristiano ha moltissimo da dire a tutti, credenti e non credenti”, ha ricordato la scorsa settimana il sociologo dell’università Cattolica Mauro Magatti durante l’ultimo incontro, rigorosamente online, della scuola diocesana di dottrina sociale della Chiesa.

In questi anni impegnativi e al tempo stesso entusiasmanti, come li ha definiti il docente, noi seguaci di Cristo in che modo possiamo porci davanti a questa realtà così sfidante?

Basterebbe guardare ai tanti che nella vita della Chiesa e nei secoli si sono occupati di sociale. Cito don Oreste Benzi, il nostro don Carlo Baronio e san Giovanni Bosco. Davanti a un tempo in rapidissima trasformazione, si sono buttati nella mischia e lì hanno operato, partendo da ciò che accadeva.

“Occorre invertire la logica – ha aggiunto Magatti -. La parola e la riflessione devono venire dopo essersi messi in rapporto con la realtà. La pandemia sta spazzando via alcune forme religiose che non sono più all’altezza del tempo. Questo è il momento opportuno per rimettersi in cammino”. Un invito perentorio per me, per noi, per ciascuno di noi. Senza mezze misure. Secco. Da incarnare e realizzare, nella mia vita. Nella nostra vita.

Papa Francesco fin dalla Evangelii gaudium pubblicata nel 2013 ci invita a uscire. Ben prima della pandemia. Uscire nel senso di stare accanto, condividere, farsi prossimi, essere compagni di viaggio. “Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade – si legge al numero 49 dell’esortazione apostolica – piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze”. Ancora oggi, il Vangelo ha tanto da dire.

(*) direttore del “Corriere Cesenate” (Cesena)