Fratelli tutti. Salvarani (teologo): “È una parabola francescana. Il Papa scommette sul cambiamento”

“Fratelli tutti è una parabola francescana, da tutti i punti di vista”. Parte da qui Brunetto Salvarani, teologo, per offrire una lettura della nuova enciclica di Papa Francesco, con la premessa, però, che “si tratta di un testo importante, lungo, impegnativo, da studiare e da accogliere nei suoi molti anfratti. Non lo si può ridurre a qualche slogan perché è un testo che ha delle pretese importanti: tra tutte, quelle di offrire uno sguardo ampio e lungo”. E sull'apertura al dialogo con le altre religioni, Salvarani sottolinea che: “Il Papa vuole che il dialogo produca una cultura dell’incontro, superando la contrapposizione tra dialogo e identità”

(Foto Vatican Media/SIR)

“Fratelli tutti è una parabola francescana, da tutti i punti di vista”. Parte da qui Brunetto Salvarani, teologo, per offrire una lettura della nuova enciclica di Papa Francesco, con la premessa, però, che “si tratta di un testo importante, lungo, impegnativo, da studiare e da accogliere nei suoi molti anfratti. Non lo si può ridurre a qualche slogan, perché è un testo che ha delle pretese importanti: tra tutte, quelle di offrire uno sguardo ampio e lungo”.

La storia del Santo di Assisi è utile a comprendere il testo del Papa?
San Francesco è un uomo è un uomo pienamente medievale che affronta i primi vagiti della modernità nel nome della conversione al Vangelo. Papa Francesco, uomo del sud del mondo, fa a sua volta un bilancio della modernità per indicare la rotta negli impervi meandri della post modernità. ‘Fratelli tutti’ conclude una stagione della dottrina sociale della Chiesa iniziata con la “Rerum novarum” per inoltrarsi in terreni inesplorati.

Che bilancio fa il Papa delle modernità?
Il modello della modernità si è risolto nel consumismo individualistico e nella globalizzazione economicistica. La prevalenza del tornaconto personale in un mondo massificato sta producendo solitudini.

È un giudizio senza appello quello di Francesco?
No, il Papa non butta via la modernità ma ne raccoglie i risultati migliori:‘Fratelli’ è una parola chiave della rivoluzione francese; nella sua analisi il Papa utilizza gli strumenti delle scienze umane; il pluralismo è accettato come caratteristica fondamentale del mondo in cui viviamo, un dato di fatto, un punto di riferimento inevitabile; la libertà religiosa, i diritti umani, il multilateralismo nelle relazioni internazionali, il rilancio della coscienza storica e della verità storica: sono tutte conquiste della modernità.

Come interpreta la scelta di firmare l’enciclica lontano da Roma?
Credo che così il Papa volesse mostrare la necessità di ripensare da capo il modo di attuare il Vangelo nell’attuale cambio d’epoca. Anche in questo c’è un parallelo con San Francesco, anche se alla rovescia.

In che senso?
Tra il 1209 e il 1210, dopo aver organizzato il primo gruppo di ‘minores’, San Francesco va Roma dove ottiene da papa Innocenzo III l’approvazione orale della prima regola, molto scarna, un ritorno al Vangelo senza sconti. Facendo il percorso inverso, andando da Roma ad Assisi, Papa Francesco offre una grande metafora di quello che dovrebbe fare la Chiesa: uscire da sé stessa, dalla sua fortezza, accettare la propria fragilità e aprirsi alla conversione. È dal 2015 che Papa Francesco parla di cambiamento d’epoca: ‘Fratelli tutti’ è una risposta su quelli che sono i tratti di questa situazione inedita.

Cosa propone il Papa?
Cerca di proporre una nuova architettura del mondo e delle relazioni umane, superando i pessimismo diffuso, il cinismo che nega qualsiasi cambiamento.

Il Papa, invece, scommette sul cambiamento.

È molto interessante il riferimento al ‘sogno’ che fa citando Martin Luther King, Desmond Tutu, Gandhi, figure che ci mostrano come sognare non vuol dire evadere ma inserirsi nella realtà con le armi di cui disponiamo, soprattutto con quella della speranza. Oggi la speranza è la virtù teologale più dimenticata: diffidiamo del futuro e la speranza, che si nutre di futuro, non se la passa bene. È una virtù bambina, piccolina, ma che oggi non si usa. Invece il Papa ci invita a camminare nella speranza’. E questo è in linea con un testo molto sbilanciato sull’agire, sul noi, sul costruire insieme.

A questo proposito, nell’enciclica ha uno spazio importante il tema del dialogo tra religioni.
Su questo l’enciclica sta già facendo discutere. Il Papa vuole che il dialogo produca una cultura dell’incontro, superando la contrapposizione tra dialogo e identità. Il Papa riprende il documento di Abu Dhabi, uno dei molti testi che fanno da ‘trama’ dell’enciclica, e in particolare il passaggio in cui si dice che la libertà religiosa è diritto di ogni persona e soprattutto che il pluralismo e la diversità tra le religioni sono frutto di una sapiente volontà divina. Da un pluralismo accettato ‘de facto’, qui siamo in un pluralismo ‘de jure’, perché Dio ci ha creati così. È un passaggio difficile da digerire per chi è convinto che ‘extra ecclesiam nulla salus’, che fuori dalla Chiesa non c’è salvezza.

C’è chi ha definito l’enciclica “poco ecclesiale”. Perché?
Perché l’ambizione del Papa è di non rivolgersi solo ai cristiani ma a tutti, per invitarli ad avere uno sguardo diverso sulla realtà. Non sarà facile, perché è un’enciclica non buonista, non fa sconti. Ma è un’enciclica evangelica: come San Francesco, il Papa non ha fatto altro che riprendere il Vangelo con la radicalità che il Vangelo richiede.

(*) giornalista de “La Voce dei Berici”

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