Domenica 19 luglio

Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania?”. Con queste due domande il Vangelo di Matteo apre la riflessione della XVI Domenica del tempo ordinario. L’uomo biblico è davanti a un quesito antropologico fondamentale che lo avvolge e lo interroga. Se Dio è buono perché il male? Molti teologi hanno sottolineato il legame profondo che esiste tra la teodicea e la teologia, alcuni di essi affermano che la teologia nasce proprio dalla teodicea, ovvero dal tentativo di giustificare Dio e il suo agire. La teodicea, dal greco theos, dio e dike, giustizia,  definisce una branca della teologia che studia il rapporto tra la giustizia di Dio e la presenza nel mondo del male. Un tema antico quanto l’uomo. Il Vangelo di oggi è un esempio chiaro di come la teodicea sia alla base di molte riflessioni sul male e sulla sua origine. All’inizio del Vangelo troviamo infatti la domanda sull’origine della zizzania. Se è vero che non esiste una spiegazione esaustiva che risolva una volta per tutte il problema del male è anche vero che l’uomo non po’ fare a meno di porsi delle domande in questo senso. Il Vangelo di oggi ci offre alcuni spunti interessanti sul tema della teodicea. Il primo insegnamento che ci viene dato è che la zizzania non viene da Dio ma è seminata da un nemico che ha un nome preciso, diábolos, ossia colui che divide. Mentre Dio non ha fretta di dividere ma cerca di tenere unito il raccolto nella speranza che prima della mietitura le cose cambino e la misericordia possa compiere la sua opera, il diavolo invece ha fretta di dividere, di gettare scompiglio, di separare il raccolto per strappare anime a Dio. Due atteggiamenti completamente opposti.  “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano”. Queste affermazioni ci portano a considerare che grano e gramigna devono stare insieme perché così è stabilito da Dio, il quale stabilisce un tempo ultimo per la mietitura, tempo che coincide con il giudizio definitivo, prima di questo tempo che di fatto è un tempo di misericordia tutto è ancora possibile, prima di questo tempo invece non è possibile un discernimento definitivo e preciso. Con questo modo di procedere Dio indica chiaramente che il giudizio appartiene unicamente a lui. “Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole”. La conclusione del lungo racconto ha un epilogo preciso e inequivocabile, il giudizio su coloro che operano l’iniquità e che non vogliono cogliere il tempo loro concesso per convertire la propria condotta di vita è certo e inesorabile, la misericordia paziente e benigna di Dio è anche una misericordia giusta. La misericordia di Dio tiene necessariamente conto della giustizia, per questo è  stabilito un termine dove ciascuno dovrà essere pesato sulla bilancia della giustizia. Questo concetto è molto importante per non ridurre la misericordia a una sorta di sanatoria universale ingiusta e scriteriata. In ultimo è evidenziato il posto spettante ai giusti, il quali splenderanno come il sole e le opere loro saranno finalmente manifeste agli occhi di tutti, quelle opere spesso nascoste e che si confondono nel silenzio accomodante del mondo avranno un giorno la loro ricompensa.