II Domenica di Avvento

Is 11, 1-10; Rm 15, 4-9; Mt 3, 1-12

Giovanni il Battista dice di sé: “Sono solo una voce, un servo neppure degno di scioglie i calzari…”. Eppure Gesù lo aveva indicato come “il più grande dei nati di donna”, come dire: l’uomo più grande della storia! L’iconografia cristiana, specie quella orientale, ne è splendida prova: al centro delle iconostasi è sempre Gesù, e ai suoi lati Maria e Giovanni il Battista. Come può allora una semplice “voce” essere così grande? Perché è la voce che annuncia la Parola, il dito che indica il Verbo fatto carne, il Dio con noi. Questo è il Natale a cui ci stiamo avvicinando e Giovanni è il testimone per non sbagliare la strada.

La predicazione di Giovanni impressionava per l’ardente passione, per la schiettezza e il coraggio con cui sapeva dire a tutti la verità. Alle folle egli intimava di imparare a condividere i propri beni, come il vestito e il cibo; ai pubblicani, esattori delle tasse, di attenersi strettamente al giusto; ai soldati di non commettere violenze ed estorsioni; alla classe dirigente (farisei e sadducei) di abbandonare presunzioni, ipocrisie, pregiudizi e privilegi; al tetrarca Erode Antipa di interrompere la relazione adulterina con la moglie di suo fratello Filippo. Il suo servizio alla verità si scontrava duramente con gli interessi egoistici e con il potere, finché Erode, per farlo tacere, gli fece tagliare la testa.

Pur essendo solo “voce”, Giovanni è grande perché è un testimone, una voce che contiene la Parola. Testimoni lo siamo tutti, maestri nessuno. Nell’esperienza, la parola e la vita si uniscono e nasce la testimonianza. Se la menzogna (che è falsa testimonianza), è il reato più grave (come insegna il racconto del peccato di origine), la testimonianza fonda la cultura e la storia. Giovanni è la voce prestata all’attesa di Israele e di tutta l’umanità. A differenza dei mass media, che troppo spesso giustificano l’esistente, Giovanni svela l’ingiustizia e, dando voce ai poveri e agli oppressi, riaccende in loro il desiderio di verità e di salvezza.

Giovanni è l’uomo dell’attesa, della fede assoluta nella promessa di Dio. Per incarnarsi Dio ha bisogno di qualcuno che l’attenda. E basta uno in attesa perché la salvezza si mostri universale, per tutti. Dall’imperatore di Roma ad una voce che grida nel deserto: dalla storia universale all’uomo di Dio, per tornare a tutte le genti. Un processo di concentrazione e dilatazione: incarnata in un punto, la salvezza è rivolta a tutti. La Parola di Dio non si fa udire nei palazzi del potere, ma nel silenzio del deserto, il luogo vuoto e inabitabile dove l’uomo trova la verità. Nel deserto si è uguali, non si ha nulla d’ingombrante, si cammina insieme, si condivide, si è fratelli e poveri nella stessa misura, ricchi solo della solidarietà e dell’aiuto reciproco. L’unica sicurezza – speranza! – nel deserto è il futuro, la promessa. Per ottenerla occorre il battesimo. E Giovanni è il battezzatore, colui che invita ad immergersi, ad andare a fondo, per ricevere in dono una rinascita.

Non c’è nulla che possa liberare dal proprio male; solo il perdono. E Giovanni grida nel deserto la consolazione, il perdono di Dio. È il perdono che ci fa capaci di accettare l’invito a raddrizzare le vie e a colmare i burroni delle ineguaglianze e delle ingiustizie. Abissi sono anche quelli di chi non spera più. Se la giustizia è opera dell’uomo, la speranza è frutto della misericordia di Dio. Colmati i burroni, bisogna anche abbassare le “cime” dei monti e dei colli, renderci umili come Maria. Umili perché siamo terra: homo, humilis, humus hanno la stessa radice.

L’Avvento è tempo di consapevolezza sul tempo dell’uomo, sull’oggi. Qui e ora Dio ci incontra, ci chiama a cambiare vita, a ricominciare, a vivere la solidarietà e la giustizia. La giustizia del vangelo è più che distributiva, perché ha, come presupposto, la paternità di Dio e la fraternità universale.

Angelo Sceppacerca