Domenica 6 ottobre

La fede e il servizio sono al centro della riflessione di questa XXVII domenica del tempo ordinario.

Queste due realtà costitutive e inseparabili dell’esperienza cristiana definiscono un cristianesimo adulto e responsabile. Se la fede è il fondamento delle cose che si sperano e la prova di quelle che non si vedono, il servizio è prova che le fede è capace di produrre una vera e propria conversione dell’uomo generando il lui una piena liberazione da se stesso per riscoprire il primato di Dio. Queste due realtà vanno però coltivate e incentivate secondo una logica precisa e attenta. Gli stessi discepoli sentono la necessità di chiedere al Signore di “accrescere la loro fede” prendendo le distanze da una mentalità, anche oggi molto diffusa, secondo la quale la fede è un dato immanente, o si crede o non si crede, bianco o nero, dimenticando che la fede è prima di tutto un dono e che questo dono cresce tanto quanto cresce la capacità dell’uomo di fare esperienza viva di Cristo vivo.

Nella prima lettura il profeta Abacuc parla di una visione: “Una visione che attesta un termine, parla di una scadenza e non mentisce; se indugia, attendila perché certo verrà e non tarderà”. Abacuc fa riferimento ad un atteggiamento necessario, quello di un’attesa fiduciosa, piena di fede, che sa attendere con certezza una promessa fatta, questa fede cresce in base alla conoscenza di Colui che ha fatto la promessa, tanto più si conosce Colui che ha fatto la promessa tanto più la fiducia cresce, perché Colui che ha promesso è un Dio affidabile.

Anche San Paolo ricorda a Timoteo che “il dono di Dio va ravvivato”, cioè reso vivo, mantenuto in vita e il dono di Dio di cui parla Paolo è il mandato apostolico ricevuto da Timoteo con l’imposizione delle mani, come ogni altro mandato nella Chiesa esso si esplicita per sua natura nel servizio. La fede che ho da bambino non è la fede ho da adolescente e non è la fede che ho da adulto, si tratta di una realtà che cresce con l’esperienza che l’uomo fa di se stesso in Dio, un divenire per grazia, un crescere sempre di più nella conoscenza di lui. Il servizio nella carità fa crescere la conoscenza e la conoscenza vivificata della carità permette il discernimento con cui incontro le persone, faccio le mie scelte, dono la mia vita e di conseguenza esplicito la mia fede.

Nel Vangelo di Luca Gesù irrompe con questa domanda: “Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Una domanda provocatoria che di per se esige una risposta negativa, eppure il figlio dell’uomo che non è venuto per essere servito ma per servire ribalta la prospettiva e si cinge il grembiule per servire l’uomo.

Dio fa quello che di per se non dovrebbe fare, fa quello che spetterebbe al servo e così facendo insegna al servo la via per essere libero e divenire per grazie come il suo Padrone. Solo così si comprende la logica del Vangelo che ci invita a gioire del fatto che siamo servi inutili, perché l’utile viene solo da Dio e la nostra gioia risiede nel sapere che abbiamo fatto ciò che dovevamo fare.