Natale del Signore

Messa della notte: Is 9,1-6; Sal 95; Tt 2,11-14; Lc 2,1-14

Messa dell’aurora: Is 62,11-12; Sal 96; Tt 3,4-7; Lc 2,15-20

L’evangelista Luca, come un regista, fa una zoomata: dalla panoramica su “tutta la terra”, restringe l’obiettivo sul Medio Oriente (Siria), poi sulla Palestina (Galilea e Giudea), infine su Betlemme, raccogliendo fra migliaia di volti i tratti di un uomo e di una donna, Giuseppe e Maria, quasi a condensare la Storia universale nella loro piccola storia familiare. Si intuisce il disagio di questi giovani sposi a causa del viaggio e della mancanza di intimità in cui si trovano. La nascita del bambino avviene nella precarietà: c’era tanta di quella gente in quella “stanza” che Maria dovette adagiare il Bimbo nella mangiatoia degli animali.

All’affannoso movimento di folla si contrappone la statica veglia dei pastori, all’editto imperiale fatto risuonare per tutta la terra risponde il canto degli angeli in cielo, alla confusione di lingue presenti a Betlemme fa da contrasto la silenziosa notte della campagna. Siamo lontani forse solo qualche chilometro dalla piccola borgata di Giudea, molte miglia invece dalla grande Roma… ma siamo in un altro mondo, il mondo di quelli che letteralmente “non contano”, che valgono talmente poco da non fare numero. I pastori infatti erano una categoria considerata senza fissa dimora, non godevano – alla pari delle donne e dei bambini – del diritto civile di testimonianza in tribunale, ed erano assimilati ai ladri e ai briganti. Giuseppe e Maria, come i pastori, non hanno posto. Eppure, proprio i pastori sono scelti da Dio come primi testimoni e annunciatori del mistero della salvezza, così come le donne saranno le prime testimoni e le prime missionarie della resurrezione!

I pastori “furono presi da grande spavento”, perché l’uomo davanti a Dio e alle cose di Dio sperimenta tutta la sua piccolezza e caducità. La “buona notizia”, il Vangelo, è proprio l’annuncio che da questa nostra condizione di paura noi siamo salvati: “Non temete” è la parola della consolazione perché Dio si è fatto vicino. La grande gioia annunciata ai pastori “è per tutto il popolo”. I pastori sono dunque i primi missionari. La gioia annunciata è “grande”, proporzionale alla paura che l’ha preceduta. L’oggi dei pastori è in realtà anche il nostro oggi. Noi non attendiamo un’altra alba, un altro “oggi”, ma la vita ci è data per accorgerci della salvezza in questo nuovo giorno.

“Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia”. Dio dà dei “segni” all’uomo: così, ad esempio, il segno di Caino, il segno del sangue sulle case ebree, l’arcobaleno e la circoncisione… I segni sono la prova della presenza salvifica di Dio in mezzo al suo popolo. Gesù stesso è il segno per eccellenza, ma in questo caso il segno non è straordinario, miracoloso, ma del tutto familiare ai pastori (la mangiatoia), come a voler sottolineare che il Messia è proprio il loro re, un re-pastore. Un segno che non è un segno, e che diviene segno solo per coloro che hanno creduto alle parole dell’angelo, per chi ha fede. è lo stesso principio delle parabole: comprende chi crede.

I pastori prendono la decisione di credere. Essi vogliono “vedere”. I pastori diventano perciò dei testimoni oculari e dal loro vedere scaturisce l’esigenza della testimonianza. I pastori decidono di aderire a ciò che viene loro rivelato, e si lasciano mettere in moto: vanno “senz’indugio” e “riferirono ciò che del bambino era stato detto loro”. I pastori diventano a loro volta “angeli”, cioè annunciatori del mistero, rivelatori e missionari!

“Maria da parte sua serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”. L’atteggiamento di Maria, icona dell’attenzione, ci richiama la parabola di Gesù sul seme gettato nel campo: è Maria la vera terra fertile.

Dinanzi alla capanna.
Nonostante tutto, anche quest’anno torna Natale. Nonostante tutto il peccato addosso e dentro e attorno. Nonostante le distrazioni, i nastri e le luci. Nonostante il rifiuto e il non farci trovare. Abbiamo corso un anno intero. Dovremmo ricordarne i giorni. E le notti. Dovremmo ricordare le ore e i minuti. I volti, soprattutto. Per sentirci smarriti e correre di nuovo lì davanti, alla capanna. Dinanzi a quei volti di donna, di uomo, di bambino. Dinanzi a Maria, Giuseppe, Gesù. E prendere posto. Come i personaggi e le storie che ruotano attorno. Tra luci e ombre, violenze e speranze. Noi dobbiamo prendere posto. Non si merita spazio tra i volti di speranza. Ma lo vorrei. Almeno per questo desiderio, forse, posso starci anch’io in questo presepe. C’erano anche un asino e un bue, dice la tradizione. A far caldo col loro alito perché il seme, divenuto maturo, faccia pane a tutti.

A Natale tutto è possibile. Che il cielo tocchi la terra e che la terra assomigli al cielo; che Dio si faccia uomo e che l’uomo diventi figlio di Dio. È possibile il perdono e la salvezza, la fiducia e la consolazione. A Natale anche il dubbio può avvicinare la speranza e l’ateismo sfiorare la fede.

Che sia Natale per tutti. Con le parole di Aurora. Sì, perché come a Betlemme, anche oggi ci sono i figli di quelli che credono – come Maria e Giuseppe – ai soffi dello Spirito giunti sulle ali di angeli. La piccola Aurora è stata adottata e qualche anno fa mise la sua letterina davanti a Gesù Bambino. Io l’ho copiata di nascosto.

Ciao Gesù! Eccomi davanti a te; quest’anno non potevo mancare. Sono Aurora, la bimba che fino a pochi mesi fa era senza famiglia. Nel senso che la mia mi era sconosciuta, assente, spezzata, per dramma e disperazione, per solitudine e abbandono. Sono testimone del dolore e della perdita, ma anche del miracolo che sempre può accadere quando qualcuno – come A. e S. – ti raccoglie per stringerti al petto, come pane profumato appena uscito dal forno. Senza dire: “Chi è questa qui?”. Ero senza famiglia e la difficoltà è stata la mia grazia quotidiana; ma è stata anche la sorpresa di questa coppia che si è chinata sulla mia fragilità per farmi vivere quello che di buono e vero nutriva la loro vita, senza chiedere nulla in cambio, per puro gesto d’amore che vive dell’emozione di imparare a chiamarmi figlia. Un’altra cosa sta imparando chi mi ha accolta: la realtà gli cambia contorno, tutto prende nuovo valore: sei Tu, Gesù, che ti manifesti ai loro occhi.
Sì, perché io sono una tua presenza. Sono il Natale di ogni giorno e chi si è chinato sulla mia mangiatoia ora si rialza con uno sguardo diverso, capace di accogliere il mio destino. Quando una famiglia fa posto a chi non ne ha, anche la sua casa si trasforma e diventa castello. Solo tu, Architetto delle galassie, puoi trasformare le tane in case. Io che ero senza famiglia, ho pelle più fine e occhi più grandi, come i tuoi, Gesù bambino. Nel mio, è il tuo sguardo. Certo, io ho ricevuto, ma prima ho dato. Perché il punto di nascita di ogni gesto d’amore è l’abbraccio tenerissimo che uno riceve e poi ricambia. Non è mai il rovescio. Buon Natale, Gesù. A te e a me. A mamma S. e papà A. Buon Natale a tutti i bambini del mondo”.