Un piccolo gesto, legato al Natale, magari un segnale da non trascurare. Ma, certamente, non un cambio di tendenza. La liberazione di 99 detenuti politici (di questi, solo 52 sono confermati, secondo l’accreditata ong Foro Penal), decisa dal governo venezuelano e comunicata dal presidente, Nicolas Maduro, non cambia una realtà consolidata. In Venezuela, la libertà di pensiero e di opinione continua a essere repressa, spesso “punita” con la detenzione, com’è accaduto anche nelle ultime settimane. E le carceri venezuelane continuano a essere, spesso, luoghi di tortura, comunque inadeguati rispetto a qualsiasi standard. Qui continuano a essere rinchiuse centinaia di persone; secondo vari rapporti e indagini indipendenti, si sfiora o, addirittura, si supera il migliaio di detenuti, aumentati esponenzialmente dopo le proteste che hanno fatto seguito alle elezioni “farsa” del luglio 2024.
Purtroppo, tra coloro che restano in detenzione, c’è anche Alberto Trentini, il cooperante veneziano dell’ong francese Humanity e Inclusion, agli arresti da oltre un anno, che ha trascorso in cella il suo secondo Natale consecutivo, senza che gli sforzi di pervenire a una sua liberazione abbiano dato frutto, come, invece, è accaduto per altri detenuti europei e statunitensi.
“È importante chiarire – spiega al Sir una fonte ecclesiale anonima – che non si tratta di liberazioni, ma di scarcerazioni. Le persone continuano a essere soggette all’obbligo di presentarsi alle autorità e al divieto di lasciare il Paese. Certo, ogni scarcerazione è una buona notizia per il Paese, in particolare per la persona scarcerata e i suoi familiari. Tuttavia, qui si parla di porta girevole: alcuni vengono scarcerati e altri arrestati, vale a dire che dal punto di vista dei diritti umani non ci sono cambiamenti significativi”.
Proprio nelle ore in cui Maduro decideva la “parzialissima” liberazione dei detenuti politici, la Conferenza episcopale venezuelana, nel proprio messaggio di Natale, ricordava: “Una pace che non sia frutto dello sviluppo integrale e dell’inclusione sociale, che non ispiri il rispetto dei diritti umani, civili e democratici, non garantisce la sua permanenza nel tempo e sarà sempre fonte di nuovi conflitti e di varie forme di violenza”.
Spazio civico dirotto, il dramma di 2.500 famiglie. “Dopo le elezioni del 2024, lo spazio civico non si è ridotto, e la situazione non è certamente cambiata, se non in peggio”, da quando la flotta degli Stati Uniti si è avvicinata ai confini del Venezuela, minacciando un intervento militare diretto. A confermarlo, al Sir, è una delle voci più coraggiose che, dall’interno del Paese, continua a denunciare questa realtà. Si tratta di Andreína Baduel, del Comité por la Libertad de los Presos Políticos (Clippve), il Comitato per la libertà dei detenuti politici. Una vita, la sua, segnata dalla detenzione politica dei suoi affetti più cari: “Mio padre, Raúl Isaías Baduel, fu comandante generale dell’Esercito bolivariano e ministro della Difesa tra il 2006 e il 2007, quando era presidente Hugo Chávez, dentro a un percorso di carattere istituzionale. In seguito, fu arrestato e ha trascorso in carcere 12 anni e mezzo, ed è morto in detenzione, per le torture subite, nel 2021”. Anche il fratello maggiore, Raúl Emilio, ha conosciuto il carcere, e attualmente un altro fratello, Josnars, è detenuto nella struttura La Rodeo 1, dove si trova anche Alberto Trentini. Prosegue l’attivista: “Come familiari dei detenuti politici, ci siamo da tempo costituiti in un comitato.
In carcere si trovano circa mille persone; più o meno direttamente, il fenomeno coinvolge circa 2.500 famiglie, in gran parte vittime secondarie, controllate e minacciate costantemente.
Il caso mio, e di mio fratello, è emblematico. Noi familiari subiamo controlli frequenti, spesso gli agenti di polizia sono appostati attorno alle nostre case”.
“Mio fratello nello stesso carcere di Trentini, in celle di 2 metri per 2”. In situazione di detenzione politica, al momento in cui abbiamo parlato con Baduel, c’erano anche 89 stranieri, tra i quali, appunto, l’italiano Trentini: “Quasi tutti si trovano a La Rodeo 1, e lì è agli arresti anche mio fratello. Lo possiamo definire un centro di torture. I detenuti vivono in celle due metri per due, dormono sul cemento, accanto a una latrina come servizio igienico. Lì si perde la cognizione del tempo. Il mondo deve sapere come sono trattate queste persone”. Spesso, infatti, qualcuno perde la vita, come è accaduto, a inizio dicembre, ad Alfredo Díaz, politico d’opposizione, già governatore dello Stato venezuelano di Nueva Esparta, morto senza le necessarie cure mediche, dopo essere stato detenuto per oltre un anno nel famigerato El Helicoide, a Caracas. Rispetto alla situazione che vive il Paese, con la possibilità che un intervento armato degli Stati Uniti metta fine al governo di Maduro, Baduel afferma: “Da un lato, le abbiamo tentate tutte, in questi anni; dall’altro, un intervento armato non ci toglierebbe il nostro dolore. La nostra speranza è che nessuno soffra, che non si aggiunga altra sofferenza”.

