Natale nel Donbass. Mons. Ryabukha (Donetsk), “sotto le bombe e al freddo, Dio nasce anche qui”

Nel cuore del Donbass, dove la guerra continua a ferire città e famiglie, mons. Maksym Ryabukha racconta un Natale vissuto lungo la linea del fronte, tra paura, freddo e speranza. Il vescovo greco-cattolico visita le comunità dell’Esarcato per "cantare insieme i canti natalizi e condividere la gioia di Dio che è in mezzo a noi”. "Solo Dio può trasfigurare questa notte e ridare all’umanità uno sguardo nuovo".

Natale nel Donbass (Foto M. Ryabukha)

“Il Natale è in famiglia. E la mia famiglia si trova ai confini di quattro regioni: Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Dnipro. In questi giorni cercherò di celebrare la nascita di Gesù nella nostra pro-cattedrale di Zaporizhzhia, ma anche di visitare, per quanto possibile, tutte le parrocchie dell’Esarcato, in modo particolare lungo la linea del fronte, per cantare insieme i canti natalizi e condividere la gioia di Dio che è in mezzo a noi”. Il Natale sulla linea del fronte. Dove ancora si combatte e si resiste. A raccontarcelo è mons. Maksym Ryabukha, vescovo dell’esercato greco-cattolico di Donetsk. “Questo quarto Natale di guerra – prosegue – è in realtà, per il nostro Esarcato, l’undicesimo. Che cosa chiediamo a Gesù che nasce? Siamo tutti unanimi nel chiedere al piccolo Gesù la conversione del cuore umano”. E spiega: “La nascita di una vita nuova porta tenerezza anche nei cuori più duri. Quando in una famiglia nasce un bambino, tutto cambia, tutto si trasfigura, tutto viene illuminato da una luce completamente nuova, che segna profondamente la vita in un “prima” e in un “dopo”. Così anche noi crediamo che il Natale di quest’anno possa portare una novità radicale nello sguardo di tutta l’umanità: uno sguardo nuovo sulla realtà e sul mondo, capace di aiutare sempre più persone a scoprire la tenerezza di Dio, il suo amore e il suo affetto per ciascuno di noi, e a custodirli come un vero tesoro”.

mons. Maksym Ryabukha, vescovo dell’esercato greco-cattolico di Donetsk

Eccellenza, ci racconti in quale situazione ancora quest’anno la sua gente vive il Natale tra paure, difficoltà,  freddo….

Il popolo ucraino, quest’anno, sta rivivendo davvero l’esperienza della Sacra Famiglia: indifeso, esposto a mille pericoli di vita, nel freddo che penetra fino alle ossa.

Eppure, nonostante tutto questo, la notte di Natale arriva, e credo che arrivi anche per tutti noi. Sono tantissime le sfide che oggi il popolo ucraino deve affrontare, in modo particolare nella mia eparchia di Donetsk dove la guerra sta aprendo una ferita profonda. Il Natale è uno sguardo di speranza. Contemplando Dio che entra nella miseria dell’umanità comprendiamo che anche per noi, nella miseria della vita in cui ci troviamo, esiste una speranza: quella di un Dio capace di entrare nella nostra storia e di trasfigurarla interamente.

Un Natale al riparo dalle bombe: è possibile?

In realtà è l’unica speranza che abbiamo. Ognuno di noi comprende però che il vero difensore della vita umana è Dio. Non c’è altra scelta se non affidare la propria vita nelle mani di Dio e vivere questa festa di Dio che viene in mezzo a noi. È un giorno in cui tutte le paure perdono il loro senso.

Il Natale è la festa in cui capisci che, se Dio è con noi, chi potrà essere contro di noi? E’ speranza viva e autentica che entra nella nostra vita.

Come fate?

Prima di tutto preghiamo. Crediamo che anche i nostri passi spirituali aiutino questo mondo a vedere più luce, a vivere e trovare la concordia. Dio che viene davvero cambia il mondo. E noi crediamo che, nonostante tutta la miseria umana, Dio possa compiere il miracolo del Natale.

Mons. Maskym Ryabukha, vescovo greco-cattolico di Donetsk insieme ad un gruppo di giovani (foto M. Ryabukha)

Che notizie avete sul Natale nei territori occupati?

Le notizie che arrivano dai territori occupati raccontano di una realtà di vita molto difficile.

Il Natale ricorda a tutti noi, prima di tutto, che siamo un’unica grande famiglia e che i territori occupati e quelli controllati dal governo ucraino fanno parte di un solo Paese.

Il legame con la propria famiglia è molto più forte dei confini che l’uomo inventa e che la malvagità di questo mondo cerca di imporre dividendo parenti e familiari. La nostra speranza è che il mondo trovi ancora oggi il coraggio di ritrovare la pace, l’affetto, l’amore e la capacità di vivere insieme senza farsi del male, senza odiare e senza uccidere.

Quale messaggio di Natale vuole lanciare ai grandi leader della terra?

Auguro a tutti noi, e a tutto il mondo, in modo particolare ai leader della terra di riscoprire che il Natale rimette al centro lo sguardo sulla dignità della vita umana. Dio entra nel mondo proprio per rialzare ciò che è caduto, per rimettere al suo posto ciò che è stato frantumato. Quando si comprende che la vita ha un senso, non ci si scopre più padroni distaccati e indifferenti, ma padri: padri di una grande famiglia, della quale portiamo la responsabilità e nelle cui mani si trova anche ogni passo importante che viene compiuto. Auguro a tutti di riscoprire la bellezza della vita, di renderla viva e presente, di sostenerla, accompagnarla e di reimparare a sognare: la vita, non la morte.

Cessione dei territori in cambio della pace. È così che si costruisce un futuro di pace per tutti?

Per tutti noi è chiaro che la cessione dei territori in cambio della pace non è vera pace, ma soltanto una pausa nella guerra, durante la quale accadrebbe una sola cosa: il riarmo per continuare a uccidere e a radere al suolo la terra. L’idea di rendere invivibili le grandi città ci spezza il cuore quando sentiamo, nel dibattito mondiale, accenni al fatto che per porre fine alla guerra basterebbe dare ragione a chi ha ucciso senza pietà e senza cuore. Questo è impossibile.

Una pace costruita in questo modo non può generare un futuro, perché sarebbe un futuro in cui ha ragione solo il più forte e il più prepotente.

 

Altri articoli in Europa

Europa