“In Africa nascono ancora tanti bambini, ma le condizioni igienico-sanitarie comportano purtroppo una mortalità infantile molto alta e gravi pericoli anche per la madre. Perciò, la collaborazione con il Gemelli è fondamentale per migliorare l’approccio e l’ambiente ospedaliero, qualificare il personale e offrire nuove competenze e tecnologie indispensabili per un vero salto di qualità”. Così mons. Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e presidente dell’Istituto Scientifico Internazionale Paolo VI (Isi) di ricerca sulla fertilità ed infertilità umana per una procreazione responsabile, ha aperto il convegno “La salute materno infantile in Africa”, organizzato sabato 13 dicembre dal Centro di ricerca e studi sulla salute procreativa (Cerissap) dell’Ucsc del Campus di Roma, dall’Isi e dalla Fondazione Policlinico universitario Agostino Gemelli Irccs.
Il Continente africano rappresenta, sempre più, una autentica frontiera di speranza al centro delle attività dell’Ateneo e, con questo evento, si irrobustisce ulteriormente il legame che da anni vede impegnata la Fondazione con la promozione di numerose iniziative di volontariato attraverso il Campus Solidale. In particolare, l’ultima missione del 2024 nata con lo scopo di sostenere il progetto del St. Gemma Hospital di Dodoma per la realizzazione di una nuova struttura interamente dedicata ai reparti di ostetricia e ginecologia, grazie all’expertise di medici e sanitari del Policlinico Gemelli. Va inoltre ricordato che l’Università Cattolica, fin dai primi anni Duemila, ha seguito i progetti del St. Gemma Hospital attraverso l’attuazione dei tre precedenti in Tanzania che hanno ottenuto il sostegno della Cei. “Il nostro Ateneo ha lanciato il Piano Africa – ha aggiunto Giuliodori -, quale impegno concreto nei confronti di un Continente molto travagliato ma anche portatore di molte speranze. L’Università Cattolica ha un cuore grande che va oltre il perimetro delle proprie competenze e abbraccia le sfide della nostra epoca globalizzata”. Nella tavola rotonda, guardando alle evidenti discrepanze del contesto socio-economico e culturale del mondo africano, si sono alternati gli interventi di diversi esperti su criticità e prospettive della salute materna, neonatale e infantile, nell’ottica della mission della Cattolica imperniata sulla solidarietà.
Come precisa la prof.ssa Maria Luisa Di Pietro, direttrice del Cerissap, “il Convegno riprende il tema della Giornata Mondiale della Salute del 2025, dedicata alla tutela della salute della madre e del neonato. Healthy beginnings, hopeful futures: con queste parole si è voluto mettere in evidenza come prendersi cura della donna e del bambino possa portare ad un importante miglioramento dello stato di salute e dell’aspettativa di vita di entrambi. Nonostante i tanti progressi compiuti nel tempo, la mortalità materna, neonatale e infantile è, però, ancora molto alta nei Paesi a reddito basso e medio-basso. Un dato questo che conferma, ancora una volta, come le cause principali siano le diseguaglianze socioeconomiche e sanitarie. Il nostro obiettivo, quindi, è incentivare soprattutto la formazione e l’educazione”. Introdotto dalla dott.ssa Annamaria Merola, coordinatrice del Centro per la procreazione naturale e cura dell’infertilità, è stato inoltre il direttore dell’Istituto stesso, prof. Tullio Ghi, ordinario di Ginecologia e Ostetricia dell’Ucsc, a fornire tramite statistiche e risultati relativi all’Africa Sub-Sahariana una attenta disamina sulle principali cause di mortalità legate al parto e sulle soluzioni per rendere più sicuro il post partum, con un focus anche sulle gravidanze adolescenziali. “Il ritardo nella decisione di cercare aiuto da parte delle donne africane – spiega -, la difficoltà nel raggiungere gli ospedali per via di strade impervie, la mancanza di competenze e personale adeguati nelle cure e le complicanze che, frequentemente, sopraggiungono con i parti d’emergenza in situazioni non idonee sono alcuni degli aspetti di uno scenario così complesso. Dobbiamo tuttavia alimentare un messaggio di speranza attraverso l’Università Cattolica, a partire dal nostro know-how e dalle tecniche d’avanguardia: ad esempio, trasformando i parti cesarei in parti vaginali assistiti per mezzo del dispositivo Odon Device, che i colleghi africani possono sperimentare attuando un training nel nostro Policlinico”. Non vanno poi sottovalutate le problematicità della dimensione migratoria e le malattie infettive. Ad approfondire il tema, dati Istat alla mano, tra “vulnerabilità sanitaria, disuguaglianze, discriminazioni e barriere nell’accesso alle cure, oltre alle dinamiche di integrazione in Italia e alle differenze culturali che, iniziando dalla comunicazione, possono essere limitanti”, è stata la dott.ssa Drieda Zace, responsabile Ricerca del Cerissap, che, in termini di assistenza e inclusione, ha illustrato anche la valenza virtuosa e l’avanzamento del progetto Villa Glori promosso dalla Caritas e nato nel 1987 come risposta all’emergenza Hiv/Aids. A sottolineare i tratti del Piano Africa in cui l’Ateneo crede fortemente, coniugando skills professionali e umanità, è il prof. Carlo Torti, ordinario di Malattie infettive dell’Ucsc, che ha proposto un’ampia panoramica sulle lessons learned capaci di evidenziare il valore della reciprocità, innovazione, ricerca e transdisciplinarietà. “Tutti gli interventi che mettiamo in atto devono tenere conto della salute come bene collettivo e dell’ambiente, anche ecologico, in cui operiamo.
Ciò che i nostri studenti imparano Paesi fragili come questo – afferma – è più di quanto danno, a partire dal fondamentale presupposto che non c’è solidarietà senza una concezione di equità”. C’è inoltre la sfera, anch’essa fondamentale, della fertilità femminile come arricchimento della persona. “Educare, nei territori più poveri, significa anche far conoscere la natura e la ciclicità del corpo femminile e il rispetto verso la sessualità, mettendo a disposizione delle famiglie uno strumento scientifico valido e utile sia a livello clinico che umano per regolare le gravidanze una procreazione libera e responsabile e come aiuto all’infertilità, problema ormai emergente anche in Africa, peraltro con risvolti piuttosto problematici”, evidenzia la dott.ssa Paola Pellicanò, dirigente medico del Centro Studi e Ricerche per la Regolazione naturale della fertilità dell’Ucsc. È lei a ripercorrere le origini e la diffusione del Metodo Billings a livelli internazionali, ricordando anche l’opera missionaria della dott.ssa Anna Cappella, ginecologa e prima direttrice del Centro, e indirizzando ad un “approccio integrale verso la coppia, alla consapevolezza della scelta e alla tutela della salute riproduttiva: quello che portiamo in Africa è un messaggio determinante per la promozione della donna e il dono della vita”. Un’attestazione concreta di sinergia, attraverso il contributo su “Lo screening del carcinoma della cervice in Africa: utopia o realtà realizzabile?”, è stata portata dalla dott.ssa Maria Tiziana Andriani, presidente di Afron Onlus, realtà nata quindici anni fa e positivamente attiva sul fronte della sensibilizzazione nelle piazze, nelle scuole così come nelle parrocchie africane, dove l’ignoranza, la carenza di diagnosi, la paura e lo stigma sociale, nonostante gli effetti della pandemia, possono essere vinti grazie “ad una routine di prevenzione efficiente e sostenibile”. Infine, in un fuori programma ma di perfetta sintesi per la mattinata, con la testimonianza di due religiose del Burkina Faso, suor Monique, ostetrica, e suor Julie, studentessa della Cattolica, a ribadire la forza della cooperazione e la necessità di responsabilizzazione su questioni così delicate, come segno di accompagnamento alle donne e madri africane.

