Tokyo – In un contesto internazionale segnato da guerre,tensioni e retoriche contrastanti, dove la Chiesa continua a indicare la via del dialogo, non si placa la crisi diplomatica tra Giappone e Cina, con al centro la questione di Taiwan. L’ultimo scontro è avvenuto durante una recentissima riunione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che ha visto coinvolti l’ambasciatore cinese Fu Cong, rappresentante permanente per la Cina presso le Nazioni Unite, e il suo omologo giapponese Yamazaki Kazuyuki. Al centro delle reciproche accuse, una dichiarazione della Premier giapponese che Fu Cong ha ribadito essere “un’interferenza negli affari interni della Cina”. L’ambasciatore giapponese a sua volta ha definito “deplorevoli” le parole cinesi e “inopportune” nell’amboto di un dibattito volto a costruire il futuro delle Nazioni Unite.
La controversia è iniziata il 7 novembre scorso dopo un intervento della neoeletta premier Sanae Takaichi, in carica dal 21 ottobre. In Parlamento, rispondendo a una domanda sull’eventualità di una minaccia alla “sopravvivenza del Giappone”, la Premier aveva citato l’ipotesi di un attacco o blocco navale cinese contro Taiwan. “Un’azione di questo tipo – aveva affermato – costituirebbe probabilmente una situazione che minaccerebbe la sopravvivenza del Giappone e ci costringerebbe a reagire”.
Le parole di Takaichi richiamavano la Legge sulla sicurezza nazionale del 2015, approvata sotto il governo Abe, che ha reinterpretato l’articolo 9 della Costituzione pacifista, senza modificarlo, ma autorizzando di fatto l’“autodifesa collettiva” a sostegno di Paesi alleati anche in assenza di un attacco diretto al Giappone. È la prima volta che un capo di governo giapponese cita esplicitamente Taiwan come possibile causa di intervento militare, rompendo con la prudenza dei predecessori.
La reazione cinese non si è fatta attendere: Pechino ha parlato di “grave ingerenza”, “violazione di impegni internazionali” e ha intimato Tokyo a ritrattare, minacciando “conseguenze”. Il governo giapponese ha rifiutato ogni smentita ma si è impegnato per una maggiore cautela in future dichiarazioni Intanto, la crisi ha iniziato a produrre effetti concreti.
Il primo settore colpito è stato il turismo: la Cina ha sconsigliato ai propri cittadini di recarsi in Giappone e ha scoraggiato gli studenti dallo scegliere università nipponiche. Poiché i turisti cinesi rappresentano quasi un quarto degli arrivi stranieri, il contraccolpo è stato immediato. Molte agenzie hanno sospeso i tour e numerose compagnie aeree hanno cancellato o ridotto i voli fino alla fine dell’anno.
Anche il Ministro nipponico per la sicurezza economica, Kimi Onoda, ha posto l’accento sul rischio di una pericolosa dipendenza economica da un Paese che usa le ritorsioni come arma politica. La Cina rappresenta il secondo mercato di esportazione per Tokyo, con scambi per circa 125 miliardi di dollari nel 2024. Le associazioni imprenditoriali hanno invitato la premier Takaichi a riaprire il dialogo, ricordando che “la stabilità politica è il primo requisito per la prosperità economica”.
Sul piano culturale, le tensioni si sono riflesse nella sospensione della distribuzione nelle sale cinematografiche cinesi di film giapponesi. Sono cresciuti i sentimenti anti-nipponici e anti cinesi tra la popolazione dei due Paesi. L’ambasciata giapponese a Pechino ha raccomandato ai propri cittadini di evitare luoghi affollati, mentre Tokyo ha garantito misure di protezione per gli studenti in Cina.
A peggiorare la situazione è arrivata, il 19 novembre, la decisione delle autorità cinesi di sospendere le importazioni di prodotti ittici giapponesi, ufficialmente per motivi sanitari, ma anche come risposta politica alle parole della premier. Due giorni dopo, il Ministero del Commercio cinese dichiarava che “la cooperazione bilaterale era stata gravemente compromessa”.
In questo clima teso tornano alla mente le parole di Papa Francesco, pronunciate il 24 gennaio 2025 nel Messaggio per la 59ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali: “Spesso la comunicazione genera non speranza ma paura, pregiudizio e odio. Occorre disarmarla e purificarla dall’aggressività”.
Coerenti con questo richiamo evangelico, i Vescovi giapponesi hanno sempre sostenuto la loro adesione allo spirito pacifista della Costituzione, nata dall’esperienza di Hiroshima e Nagasaki. Il 6 agosto 2025 nell’80º anniversario della tragedia atomica, a Hiroshima si sono riuniti Cardinali e Vescovi di Giappone, Stati Uniti e Corea del Sud. Insieme hanno condannato ogni guerra e riaffermato la necessità di costruire la pace attraverso la “non violenza, ancorata nel dialogo e nella cooperazione”, pregando perché la tragedia nucleare non si ripeta mai più.

