Molti, sicuramente, avranno seguito con grande partecipazione (e forse anche con un po’ di ansia…) il primo viaggio apostolico di papa Leone XIV che ha scelto il Medio Oriente – zona di tensioni e conflitti mai sopiti – come primo appuntamento con il mondo e con l’umanità fuori dai confini della “città eterna” e dell’Italia. Avranno anche meditato sui tanti suoi discorsi preparati con cura, sempre incarnati nelle differenti e problematiche situazioni, e sui tanti incontri con città, governanti, religioni, popoli, famiglie, giovani. Motivato e ispirato fondamentalmente – come anche il predecessore Francesco avrebbe desiderato – dal XVII centenario del primo concilio ecumenico, quello del 325 a Nicea (attuale Iznik), dove si fece chiarezza sulla conoscenza e sulla professione di fede nell’identità di Cristo Dio e Uomo, il viaggio del “missionario”, a pieno titolo, Leone si è snodato, sia in Turchia che in Libano dal 27 novembre al 2 dicembre, attorno ai temi, potremmo dire “consueti” se non fossero, oggi quanto mai, urgenti e necessari, dell’unità e della pace. Ecumenismo e dialogo interreligioso in Turchia, dove le Chiese cristiane, un tempo lontano oltremodo fiorenti, ora sono ridotte a piccola minoranza: tappa emblematica sulla spianata degli scavi dell’antica città conciliare, incontro con le comunità cristiane di ogni confessione e in particolare con il patriarca Bartolomeo, con la significativa firma della dichiarazione comune tra Chiesa d’Occidente e chiesa ortodossa d’Oriente; ma anche l’incontro con i capi dell’Islam e la visita storica alla grande Moschea Blu a Istanbul. Parimenti il riconoscimento, non solo formale o di occasione, del ruolo che il grande stato mediorientale, un ganglio centrale tra Oriente e Occidente, come anche tra Nord e Sud del mondo, con il suo (pur da molti discusso) premier, svolge e può svolgere meglio e di più per la composizione dei conflitti nella regione e non solo, nella ricerca e nella costruzione di una pace autentica, con l’invito e l’auspicio che ciò porti i suoi frutti.
Ecumenismo, dialogo interreligioso e supplica per la pace anche in Libano, nazione in cui i cristiani, di diverse denominazioni, hanno un ruolo non secondario, anzi, per alcuni aspetti determinante, nella vita sociale e politica; ma dove la pacificazione degli animi e la strada per una vera unità e collaborazione che porti alla serenità della vita quotidiana sono ancora lontane e sempre rimesse in discussione dalle tensioni interne e circostanti. Libano chiamato a diventare – come fu per non pochi anni, un tempo – esempio di convivenza fra popoli e religioni nella costruzione di una società inclusiva, equilibrata, accogliente e prospera “profezia di pace per tutto il Levante!”. Il papa ha lasciato quelle terre con parole di speranza che fanno bene al cuore e alle menti di tutti, anche di noi italiani ed europei, in tempi in cui si sentono solo parole di pessimismo, di rivalsa, di conflitti reali o presunti.
“Elevo la mia gratitudine al Signore – ha detto lasciando i libanesi, arrivati in centocinquantamila all’ultima celebrazione a Beirut – per aver condiviso con voi questi giorni, mentre porto nel cuore le vostre sofferenze e le vostre speranze. Andiamo avanti insieme. E speriamo di coinvolgere nell’impegno per la pace e la fraternità tutto il Medio Oriente, anche chi oggi si considera nemico. Dio benedica il Libano, il Medio Oriente e l’intera umanità!”. Una benedizione e una speranza che ha voluto dunque allargare a tutti, anche a quelle città e regioni vicine che non ha potuto visitare direttamente: Tripoli e il nord, la Beqaa, Tiro, Sidone, i luoghi biblici, tutte le zone e in particolare il sud, che vivono una situazione di conflitto e incertezza.
Mentre scriviamo papa Leone XIV è in volo verso Roma, partito alle 13.48 dall’aeroporto internazionale di Beirut. Prima di partire ha ribadito l’appello – anzi potremmo dire il comando (fossero in tanti, specie quelli che contano nel decidere le sorti dei popoli e dell’umanità, ad ascoltarlo davvero!) -: “Cessino gli attacchi e le ostilità. Nessuno creda più che la lotta armata porti qualche beneficio. Le armi uccidono; la trattativa, la mediazione e il dialogo edificano. Disarmiamo i nostri cuori, facciamo cadere le corazze delle nostre chiusure etniche e politiche, apriamo le nostre confessioni religiose all’incontro reciproco” perché “tutti possano riconoscersi fratelli e sorelle”, senza mai cedere “alla logica della violenza e all’idolatria del denaro”. Pensieri e parole, appunto da meditare, da applicare dove e come possiamo, pregando perché arrivino a tutti!