Cop30 e futuro

Mentre in Veneto si aprono le urne per eleggere presidente e consiglio regionale, riecheggia l’appello alla corresponsabilità civile e alla partecipazione. Ma lo sguardo si allarga fino a Belém, dove la Cop30 si chiude senza accordi significativi e con previsioni allarmanti sul futuro del pianeta

Foto Calvarese/SIR

In tutta questa domenica e lunedì mattina sarà possibile recarsi alle urne per eleggere il nuovo presidente e il nuovo consiglio della Regione Veneto (come per Puglia e Campania). Non possiamo esimerci dal rinnovare l’appello – facendo eco anche a quello articolato e stimolante dei vescovi del Veneto – a votare, dando prova di corresponsabilità per le scelte future del governo regionale che condizioneranno la nostra vita, pena una regressione della nostra democrazia e un deterioramento della qualità dei rapporti sociali appiattiti su deleghe in bianco. Ma in queste note vogliamo accennare, per quanto brevemente, ad una questione ben più ampia e globale nel vero senso della parola: quella cioè del cambiamento climatico di cui si discute a Belèm nello stato brasiliano del Parà, nel cuore dell’Amazzonia, dal quale non giungono certo notizie rassicuranti. E non si tratta comunque di tematiche estranee alla vita della nostra Regione, colpita anch’essa dalle conseguenze di squilibri ambientali e impegnata a portare a compimento almeno quelle famose vasche di laminazione che, nella misura in cui sono state parzialmente realizzate, hanno limitato i danni di eventi estremi.

Ebbene, la Cop30 – che si conclude venerdì 21 novembre dopo dieci giorni di incontri e di dibattiti tra i responsabili delle delegazioni di tutti i Paesi del mondo, con una eccezionale presenza di ben 50.000 delegati – non pare purtroppo offrire grandi prospettive di impegno nel verso giusto. Le questioni fondamentali, anche in questa assise mondiale, sono tre: quella cioè della riduzione del riscaldamento globale diminuendo il ricorso alle fonti energetiche fossili, quella di una finanza che sostenga la transizione energetica specialmente nei Paesi in via di sviluppo e quella dell’adattamento ragionevole ed efficace al cambiamento climatico. Nell’assurdo e controproducente spirito “negazionista” alimentato da alcuni grandi della Terra, ma anche da alcune formazioni politiche sempre più in auge, non è certo facile procedere, tanto che il presidente brasiliano della Cop André Correa de Lago ha invitato tutti alla flessibilità e pare debba accontentarsi di riassumere semplicemente in una “nota” la posizione di ciascun Paese, dal momento che non c’era nessuna intesa in vista.

Le previsioni dicono, anzi, che, nonostante l’incremento delle energie rinnovabili, la domanda di gas e di petrolio raggiungerà il picco nei prossimi anni ’30 e le emissioni di gas serra entro il 2050 raddoppieranno…

Eppure, la pietra miliare dell’accordo sul clima posta alla Cop21 di Parigi nel 2015, al quale pressoché tutti avevano aderito e di cui ricorre esattamente il decimo anniversario, avrebbe dovuto fare da punto di riferimento indifferibile.

Proprio ad esso si è rifatto il papa nel suo accorato messaggio letto dal card. Parolin a capo della delegazione vaticana, come pure nel videomessaggio alle Chiese del sud del mondo riunite nel Museo amazzonico di Belém, che hanno preso parte attiva anche alle grandi manifestazioni degli indigeni e di molti altri per invocare un reale rispetto dell’ambiente per la sopravvivenza di tante popolazioni e del pianeta stesso. Citando la grande sensibilità di papa Francesco e i suoi ripetuti moniti, papa Leone ha definito l’accordo di Parigi “il nostro strumento più forte per proteggere le persone e il pianeta” e ha invitato pressantemente ad una “conversione ecologica” per un cambio di mentalità e di prassi, otre che ad un sistema finanziario internazionale che promuova i Paesi poveri permettendo loro di esprimere in pienezza il proprio potenziale umano ed economico. “Se vuoi la pace, custodisci il creato” era lo slogan e l’imperativo già di Benedetto XVI e poi di Francesco e ora di Leone.

Con efficace e drammatico accostamento di realtà e di concetti, papa Leone ha parlato di un mondo “in fiamme” da una parte a causa dei conflitti che imperversano in varie regioni del mondo bruciando terre e risorse oltre che mietendo vite, e dall’altra proprio per l’innegabile “riscaldamento globale” che, quasi impercettibilmente ma inesorabilmente, va infuocando la terra.

Leone XIV auspicava – e noi lo faremmo con lui – che questa trentesima “Conferenza delle Parti”, come viene chiamata, potesse essere un “segno di speranza” e uno stimolo efficace a livello universale. Dobbiamo constatare che l’entusiasmo e i grandi propositi si sono affievoliti anche nella nostra Europa; e in Italia, anche se l’apposito Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica intende rafforzare la propria posizione nelle strategie e nei progetti di ricerca pure a favore dei Paesi emergenti, la questione incontra non poca “freddezza” a vari livelli, anche attorno a noi e, forse, persino dentro di noi. Purtroppo, anche in questo sembra prevalere un certo egoismo di popolo e di generazione, incurante del bene altrui attuale e futuro. Facciamo in modo che il risveglio non sia troppo brusco perché tardivo!

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