Una tragedia si è consumata, la sera del 13 novembre, a Muggia in provincia di Trieste, dove una donna 55enne di origine ucraina ha ucciso il figlio di 9 anni, tagliandogli la gola con un coltello da cucina. L’allarme era stato lanciato dal padre del bimbo, un 58enne di Trieste, da cui la donna si stava separando. Non riusciva a contattare i familiari al momento della riconsegna del minore prevista verso le ore 21. Secondo quanto si apprende, la donna, di 55 anni, era stata seguita dal Centro di salute mentale e la situazione in generale della famiglia dai Servizi sociali. Su questo dramma abbiamo sentito Daniela Chieffo, direttrice della Psicologia clinica al Policlinico Gemelli.

(Foto Università Cattolica)
Professoressa, cosa si potrebbe fare per evitare tragedie del genere?
Innanzitutto, tutelare i minori.
Si tratta di garantire incontri protetti quando bisogna assicurare una relazione tra un figlio e un genitore che ha una psicopatologia o disturbi psichiatrici. A volte ci sono persone che hanno profili psichiatrici che però sono molto resistenti anche a cure o percorsi ad esempio di psicoterapia, a quel punto è difficile anche agganciarle: in questo caso, la cosa più importante è favorire, magari attraverso persone vicine, un aiuto costante. Un altro aspetto fondamentale è creare dei percorsi di psicoeducazione, di follow up, di controlli nei confronti di questi pazienti perché non basta solo emettere una diagnosi o magari formulare un aiuto dal punto di vista dei servizi sociali, è importante un’azione che sia a volte anche longitudinale con dei ricorrenti incontri di monitoraggio, in misura maggiore quando c’è una relazione con dei minori.
Da quanto si è appreso la donna si stava separando dal marito…
Spesso queste tragedie anche nei confronti dei propri figli sono anche forme di rivendicazione quando ci sono relazioni di coppia molto conflittuali. Nel caso specifico, il bambino, dopo poche ore dal momento della tragedia, sarebbe dovuto ritornare dal padre, quindi questa paura della perdita, l’incapacità di gestire il distacco, soprattutto in queste forme psichiatriche, crea una sofferenza così importante che purtroppo alcune persone non riescono a tollerare. Ecco perché la relazione con un figlio, quando c’è un profilo eloquente di questo genere, va protetta, va monitorata, sicuramente non va esclusa, però indubbiamente ci sono degli strumenti per poter aiutare ad interagire meglio tra le figure genitoriali e il figlio.
In questo caso c’erano dei segnali di pericolo, tanto che il bambino era stato affidato al padre, ma può succedere che una persona apparentemente tranquilla faccia qualcosa del genere?
Indubbiamente il malessere a volte non è così visibile, però si può intercettare, ecco perché bisogna fare una sensibilizzazione rispetto a quelle persone che non hanno ancora consapevolezza del proprio disagio: sicuramente le figure vicine, come un coniuge, un familiare, un amico, possono intercettare e favorire nella persona una maggiore mentalizzazione del proprio disagio. Non si arriva ad una tragedia, ad una forma così grave di delirio o comunque di perdita del principio di realtà in una personalità sostanzialmente armonica e sana. Ci sono sicuramente già degli indicatori che possono essere intercettati, a volte però possono manifestarsi magari con delle alterazioni nella vita quotidiana, anche un aumento della irritabilità, ci sono dei momenti legati agli stress della vita, però è chiaro che a volte le persone arrivano troppo tardi ad un professionista. Perciò, è importante che la collettività e le persone vicine non facciano finta di nulla rispetto ad una persona che ha un disagio.
Purtroppo, non sono proprio rarissimi i casi in cui una mamma uccide un figlio…
Faccio sempre un ragionamento anche rispetto all’età del bambino che subisce questo comportamento materno: i fattori di rischio sono sempre legati all’età del figlio. L’infanticidio ha una deriva legata a volte ad una depressione post-partum, a delle dinamiche interne connesse al cambiamento del corpo, piuttosto che a dei meccanismi di proiezione nei confronti di questo figlio, ad una incapacità o a una percezione di inadeguatezza nei confronti della crescita di un figlio. L’infanticidio di un bambino di 9 anni, come cause psicologiche, può avere un’ulteriore deriva legata al rapporto che la donna ha avuto con il proprio compagno, quindi quel comportamento della mamma a quel punto diventa più una distruzione del rapporto tra il padre e il figlio, quindi la radice potrebbe essere una separazione conflittuale. Occorre, quindi, sempre analizzare il momento di vita in cui la relazione materno e filiale si trova e in più anche quella dell’intero nucleo familiare. Ci sono dei fenomeni molto presenti, questo significa che bisogna fare un’azione importante proprio di sensibilizzazione e di accompagnamento in alcuni passaggi di vita, soprattutto considerando problematiche strettamente legate a fattori psicologici e psichiatrici.
L’infanticidio sostanzialmente è solitudine,
le mamme che agiscono in questo modo, solitamente, hanno sul piano soggettivo una storia di una sensazione proprio di solitudine importante e anche di vuoto.
I problemi di salute mentale stanno aumentando nella nostra società?
Stanno aumentando tantissimo il disagio inteso come un’ansia generalizzata, forme depressive, disturbi del pensiero, la difficoltà di gestire proprio ciò che è il rapporto mente-corpo-ambiente, ma c’è anche molta più consapevolezza del proprio sé, di quello che si sente, di quello che si percepisce. La consapevolezza attiva di più una richiesta di aiuto e di conseguenza anche una formulazione di diagnosi, che a volte precede un quadro più eloquente. Purtroppo però non è sempre possibile rispondere alla richiesta di aiuto di chi vive un malessere psichico e psicologico perché non ci sono abbastanza servizi che possano aiutare queste persone. Non si tratta, comunque, sempre di disturbi psichiatrici o di personalità che necessitano anche di una cura farmacologica o di ricoveri di alta intensità. A volte intercettare, curare, prendere in carico una persona favorisce una riduzione del sintomo grazie anche a dei fattori di protezione che le persone che hanno un disagio psicologico possono mettere in atto. Il nostro obiettivo è proprio quello di creare dei percorsi anche di formazione piuttosto che di aiuto, agendo negli ambienti di lavoro, scolastici o anche attraverso i canali social e i media per aiutare le persone, non ancora consapevoli, a riconoscere il disagio che vivono. Ad esempio, tra gli indicatori di rischio, ci sono sicuramente anche dei disturbi che stanno aumentando, come l’insonnia o alterazioni dell’alimentazione come inappetenza o fame ricorrente. Si tratta di campanelli di allarme che possono essere un’anticamera di un malessere psichico più importante.

