“Oggi la Chiesa sta riscoprendo che tutta l’esperienza cristiana è, in fondo, missionaria”. Una grammatica che unisce i due termini – discepoli e missionari – indicando “una Chiesa che cerca di stare insieme attorno al Signore, di fare un cammino comunitario, di prendersi cura dei legami e dell’appartenenza, attorno alla Parola, all’altare, a un’idea di uomo, alla prossimità che cerchiamo di vivere quotidianamente a tanti livelli, in una società articolata e impegnativa come la nostra. Così si scopre che la parola discepoli va sempre insieme a quella di missionari”.

(Foto CUM)
Don Sergio Gamberoni, sacerdote di Bergamo, è da pochi mesi direttore del Cum, il Centro unitario per la formazione missionaria che ha sede a Verona. Alle spalle ha un servizio pastorale nella sua diocesi di origine, oltre a un’esperienza missionaria di 11 anni in Bolivia. Al Sir – anche in vista dell’Ottobre missionario – racconta del “Corso partenti”, riservato a coloro che andranno prossimamente in missione, della durata di un mese, tra settembre e ottobre, con 24 partecipanti.
Parola ed esperienza cristiana. “La Chiesa italiana propone un cammino di accompagnamento per prepararsi a vivere l’esperienza ad gentes”, spiega don Gamberoni. “È il compito formativo affidato al Cum: aiutare i giovani, ma anche sacerdoti, religiose e persone già formate, a interrogarsi di fronte a quella disponibilità che è sorta nella loro vita, che qualcuno ha accompagnato e che noi chiamiamo vocazione”. Il primo passaggio del corso mette a tema proprio la partenza. “C’è qualcosa di bello da mettere in gioco: quali sono le motivazioni, quali le paure e le fatiche che portiamo con noi? Chi sono io che parto, chi siamo noi che partiamo, non solo come individui, ma anche come Chiesa, come comunità, come società? Cosa ho da offrire e, al tempo stesso, di cosa forse devo chiedere perdono? Cosa ho intuito, cosa sto cercando di cogliere anche attraverso i miei errori?”. “Molti aspetti della cultura e della storia della Chiesa europea rivelano ferite, errori commessi, intuizioni che talvolta si sono rivelate lontane dal Vangelo. Proprio per questo ci confrontiamo con la Parola e con l’esperienza cristiana, che per noi è un tesoro, a volte persino un tesoro nascosto”. Aggiunge: “Sarebbe bello che qualcuno, vedendo come viviamo e come cerchiamo di essere uomini, un giorno ci chiedesse: ‘Ma dove trovi le forze?’. E da lì nascerebbe l’occasione per raccontare il Vangelo, per condividere qualcosa. Purtroppo, a volte è arrivato prima il racconto, l’identità, l’annuncio esplicito o persino una dottrina, prima ancora di un incontro umano, più paziente e più lento”.
Brivido, dubbi e fatiche… Quest’anno sono 24 le persone in partenza: quasi tutti laici, insieme a tre sacerdoti e quattro suore straniere, arrivate in Italia anni fa, “che ora ripartono, con il mandato della Chiesa italiana, verso un continente diverso da quello di origine, che diventa così il terzo attraversato nella loro vita”. Il Cum propone un percorso di cinque settimane di convivenza, “pensato per entrare in dialogo e in ascolto reciproco. In questo tempo i partecipanti diventano amici, condividono esperienze profonde – sottolinea il direttore del Cum –, vivono il brivido e l’ebbrezza della partenza, ma anche dubbi e fatiche”.
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Storia, umanità, Chiesa. La Chiesa italiana, da anni, ha maturato una struttura di formazione che, in questo cammino, si concretizza nelle seguenti tre settimane, con altrettanti specifici focus: “Verso quale storia: chi parte viene introdotto alla realtà del continente in cui andrà, Africa, Asia, Est Europa o America Latina, attraverso uno sguardo sulla storia, la politica, l’economia, le lotte per la libertà e le ferite ancora aperte. Non solo libri, ma voci vive: giornalisti, antropologi, docenti che oggi hanno il polso della situazione”. Quindi, prosegue don Gamberoni, “Verso quale uomo: è la domanda antropologica. Ogni cultura ha un modo diverso di vivere la famiglia, la comunità, i conflitti, la nascita e la morte, il bene e il male”. E specifica: “La vita urbana e quella rurale, la fragilità di chi non ha sicurezza economica o di chi è costretto a migrare: tutto questo segna profondamente l’essere uomini. Conoscere questi approcci, dall’Africa alle Ande, fino all’Oriente, significa riconoscere che lo Spirito Santo soffia in ogni cultura e che ogni popolo ha qualcosa da insegnarci sul Vangelo e sull’umano”. Terzo passaggio: “Verso quale Chiesa: qui si apre il tema dell’inculturazione. Spesso abbiamo rischiato di esportare modelli già confezionati, legati a carismi o tradizioni specifiche. Oggi invece comprendiamo che ogni carisma è un dono, ma va condiviso in ascolto e in dialogo, lasciandosi trasformare dall’incontro con le comunità locali” che hanno un cammino specifico e una storia da comprendere che può arricchire anche le nostre comunità italiane.
Aprire capitoli. La chiusura del corso è legata al momento dell’invio e “affronta temi molto concreti su cui si offrono degli strumenti e delle chiavi di lettura: l’uso dei soldi, le relazioni tra uomini e donne, il clericalismo, il rapporto con le altre religioni e con lo Stato, la gestione dei conflitti, la cooperazione e i progetti da portare avanti insieme alle Chiese locali. Non si tratta di esaurire questi argomenti”, precisa il direttore, “ma di aprire capitoli che poi in missione potranno tornare utili: avere già condiviso qualche riflessione, conosciuto qualcuno esperto di quel tema, sapere a chi rivolgersi anche a distanza. Questo rende la formazione un percorso che continua”.

