Questa settimana ha visto svolgersi a New York – diventata per qualche giorno “capitale del mondo” – l’Assemblea generale dell’ONU nell’80° della sua fondazione. Al di là dell’evento celebrativo, uno dei gesti più significativi (e attesi) è stato il riconoscimento dello Stato di Palestina con un’ampia maggioranza (151 su 193 votanti), che ha registrato per la prima volta, con piglio dimostrativo, l’adesione di grandi nazioni del blocco occidentale. Si è trattato, evidentemente, di un gesto “simbolico”, dal momento che un vero e proprio Stato di Palestina ancora non esiste, né fu permesso a suo tempo che si costituisse effettivamente dagli stessi Paesi arabi, ed ora il governo d’Israele assicura addirittura che non esisterà mai, con tanta virulenza che – dati i venti che soffiano da quelle parti – c’è il rischio di dovergli credere, nonostante immediate ma solo ipotetiche smentite da parte di altri. Di pronunciamenti dell’ONU ne abbiamo sentiti molti, ma in questi ultimi decenni per la gran parte inascoltati ed inefficaci. Infatti, la grande organizzazione mondiale che doveva essere strumento di giustizia e di pacificazione, da tempo risulta inadeguata per il suo immane compito, bacata com’è, fin dagli inizi a dire il vero, dal tarlo del diritto di veto di cinque “grandi” potenze e via via svilita proprio da alcune di queste col taglio dei fondi e con l’evidente noncuranza verso le sue decisioni e i suoi orientamenti. Tanto che più di qualcuno parla già di “epitaffio” da apporre al suo capezzale proprio al compimento dell’80° anno. Una triste conclusione, per evitare la quale tutti riconoscono l’urgenza di una riforma o di una “rifondazione” sotto principi più adeguati al mutamento dei tempi e all’evoluzione degli equilibri mondiali, su cui tanti stanno lavorando in alternativa all’equilibrio da cui sorse quella istituzione. Gli esempi più clamorosi di questa inefficacia, anzi della paralisi che affligge l’organismo mondiale, manco a dirlo, sono in questi anni proprio le due guerre in Ucraina e in Palestina, sulle quali nulla ha potuto se non esprimere fatue dichiarazioni. Si direbbe, anzi, che proprio in quei due casi va concretizzandosi quella “eterogenesi dei fini” che stravolge progetti e intenzioni dei singoli e dei popoli. Un concetto o un “principio”, variamente interpretato, in base al quale – per usare la definizione ufficiale della Treccani – “le azioni umane possono riuscire a fini diversi da quelli che sono perseguiti dal soggetto che compie l’azione”; e ciò avverrebbe “per il sommarsi delle conseguenze e degli effetti secondari dell’agire, che modificherebbe gli scopi originari, o farebbe nascere nuove motivazioni, di carattere non intenzionale”. Cosicché, se l’Onu, anziché luogo di confronto e di dialogo per la ricerca della giustizia e della pace, diventa luogo di scontro e di contrapposizioni, parimenti, nei due teatri di guerra citati, assistiamo ad un’evoluzione che si ritorce contro chi vi opera o che porta a conclusioni contrarie rispetto a quelle iniziali. Hamas intendeva distruggere Israele, ma ne risulta pressoché distrutta; il mondo invoca e acclama uno Stato di Palestina che apra alla soluzione dei due Stati, mentre nella Palestina l’ipotesi si allontana sempre di più tra occupazioni e nuove colonie. Francia, Inghilterra, Canada ed altri grandi Stati occidentali si convincono a riconoscere lo Stato di Palestina, ma escludendo Hamas, che ne sbandiera invece il vessillo da alfiere premiato. Israele vuole difendere il suo diritto all’esistenza, ma provoca rigurgiti di antisemitismo o, nel migliore dei casi, si guadagna la disistima e l’ostracismo crescenti da parte di Paesi un tempo amici. Nell’altro campo di palese e reiterato fallimento dell’Onu, quello nel cuore dell’Europa, viene premiata la protervia di Putin, che dovrebbe essere tra i tutori della legalità sancita dall’organizzazione in cui siede con diritto di veto. Ma anche per lui la pretesa di asservire l’Ucraina si stravolge nell’ampliare la cerchia della Nato e nell’umiliare, decimare e affamare il suo stesso popolo che dice di difendere e promuovere. D’altro canto, per il governo di Kiev l’esigenza di difendere popolo e territori propri si traduce nel rischio di perdere l’uno e buona parte degli altri. Non parliamo dei fini di Trump, da lui stesso ogni giorno stravolti con le conseguenze contraddittorie che tutti constatiamo all’interno degli USA e all’esterno, nel mondo. Infine, quelli dell’Europa, che tenta di barcamenarsi ma stenta a trovare strade giuste per se stessa e in prospettiva mondiale: essi pure, pare, destinati a produrre risultati differenti da quelli ipotizzati. C’è da sperare che in alto ci sia qualcuno che tessa i fili della storia dell’umanità in modo più coerente e più …teleologico.