“I bambini ci fanno capire quanto la guerra sia inaccettabile. Dobbiamo vedere la guerra con gli occhi dei bambini e con la fragilità dei bambini per capirla e per combatterla. Tutti possiamo fare qualcosa per spingere nella direzione della pace”. A parlare è il card. Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, che questa mattina ha fatto visita al Sinodo della Chiesa greco-cattolica ucraina (Ugcc) riunito a Roma presso il Pontificio Collegio ucraino di San Giosafat. A margine dell’incontro, parlando ai media Cei, il card. Zuppi ha detto: “Ho espresso la vicinanza, l’affetto, la solidarietà, l’impegno della Chiesa italiana per il popolo ucraino. Il mio personale impegno continua sull’aspetto umanitario secondo quanto ha chiesto Papa Francesco e come ha confermato Papa Leone. La Chiesa italiana condivide la tragedia che da troppo tempo distrugge la vita in Ucraina. Abbiamo guardato insieme al futuro per capire come affrontare, con la speranza cristiana, la disperazione, la tragedia della guerra”.
Lei è personalmente coinvolto nella missione per la liberazione dei bambini ucraini deportati in Russia. Vorrebbe raccontarci come procede oggi questo processo e quali sono le principali difficoltà che si incontrano nel realizzarlo?
Il presidente Zelensky ha consegnato qualche settimana fa un’ulteriore lista di bambini che vanno verificati con le autorità russe. L’impegno pertanto continua con i due nunzi di Kiev e Mosca e con le autorità delle due parti. Si lavora pertanto per il ricongiungimento familiare e si lavora con molta, forse troppa, lentezza. Vorremmo che fosse tutto molto più rapido ma occorre anche considerare le condizioni oggettivamente difficili non solo di comunicazione tra le parti ma anche di comunicazione interna di verifica delle varie situazioni. Si continua a lavorare anche sullo scambio di prigionieri, sulla verifica delle persone. Sono molte le liste che ci vengono affidate perché possano essere consegnate all’altra parte e verificate dall’altra parte. Questo impegno deve continuare perché le condizioni della prigionia sono di estrema difficoltà. Speriamo che si possa aiutare ancora di più.
Ieri a Castel Gandolfo c’è stato l’incontro tra Papa Leone e il presidente Zelensky. In quella occasione il Santo Padre ha riaffermato la disponibilità ad accogliere in Vaticano i rappresentanti di Russia e Ucraina per i negoziati. Lei come vede questa prospettiva?
Come un segno di grande generosità da parte della Chiesa tutta e ovviamente di Papa Leone e della Santa Sede, nell’impegno – come disse Papa Leone – a guardarsi negli occhi. “Venite qui e guardatevi negli occhi”: usò questa espressione in un’altra occasione nella quale offrì la disponibilità a offrire spazi di dialogo e a fare di tutto per trovare la ricomposizione e la fine del conflitto, per trovare le vie della pace.
A Istanbul l’unico punto su cui si è trovato un accordo è lo scambio dei prigionieri. Possiamo dire quindi che la Santa Sede, la sua missione, è stata in un certo senso profetica?
Sì, anche se sentiamo che è ancora troppo poco e vorremmo che questo crescesse ulteriormente. Paradossalmente l’aspetto umanitario può essere una grammatica per ritrovare un alfabeto comune che è quello della pace. Esercitandoci in questo impegno, si possono ritrovare le parole della pace.
Zelensky ieri citava i bambini accolti in Italia.
Sì, ha fatto riferimento ai 300 bambini che sono stati ospiti dei bambini dell’estate ragazzi che si organizza in Vaticano da qualche anno. Un’iniziativa che è stata ricordata dal presidente Zelensky. È effettivamente una piccola luce che consola chi come i bambini si confronta con il buio incomprensibile della guerra.
Stamattina ha avuto inizio a Roma anche la Conferenza per la ricostruzione in Ucraina. Quali indicazioni si sentirebbe di dare ai leader per una ricostruzione solida di un Paese in guerra?
È chiaro che bisogna fare di tutto perché finisca la distruzione, perché altrimenti non ci può essere ricostruzione. In un contesto in cui la guerra è ancora in atto, puoi soltanto assolvere a quell’aspetto umanitario che cerca di salvare il più possibile dalla sofferenza le vittime della guerra. Però è anche necessario fare un grande sforzo per guardare al futuro e cercare di preparare il futuro oggi.
La pace viene solo se la cerchiamo. È vero che la pace la devono fare le parti, ma c’è bisogno di una terza parte che è quella della comunità internazionale che deve aiutare e garantire che il processo vada avanti.
La sua missione continua e Papa Leone l’ha confermata. Come sta continuando?
Spingendo in tutti gli spazi possibili per l’aspetto umanitario, solo per l’aspetto umanitario. Stiamo lavorando sul ritorno dei bambini e sullo scambio di prigionieri.

