Siamo i suoi eredi

Una frase – “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri” - e una immagine, la schiera di poveri, con una rosa bianca in mano, che lo accompagna all’ultima dimora in Santa Maria Maggiore. Potrebbe essere racchiuso in questi due elementi il ricordo da proporre ai nostri lettori con questa edizione straordinaria del giornale diocesano, fortemente voluta dal nostro Vescovo Salvatore, in occasione della salita in cielo di Papa Francesco.

Una frase – “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri” – e una immagine, la schiera di poveri, con una rosa bianca in mano, che lo accompagna all’ultima dimora in Santa Maria Maggiore. Potrebbe essere racchiuso in questi due elementi il ricordo da proporre ai nostri lettori con questa edizione straordinaria del giornale diocesano, fortemente voluta dal nostro Vescovo Salvatore, in occasione della salita in cielo di Papa Francesco. La sua testimonianza è così ricca da indurci a cogliere altri segni della preziosa eredità che ci lascia questo Papa che rimarrà nel ricordo di tutti per la sua profonda umanità. Una eredità che si caratterizza più dai comportamenti praticati che dalle poche regole dettate. Nei suoi gesti e nei tanti documenti prodotti, infatti, raramente emergono prescrizioni, ma proposte, idee, processi, lasciando agli uomini di buona volontà il compito di realizzarli. Ecco perché, al di là del ricordo e della commozione che ci coglie tutti, oggi dobbiamo avvertire la responsabilità, in quanto eredi dei suoi insegnamenti, di non disperdere quanto di prezioso, di essenziale ci lascia – il Vangelo “sine glossa” (senza aggiunte) – impegnandoci, altresì, a portarlo a compimento. Soltanto partendo da questa considerazione – “il Vangelo e basta” – si può comprendere appieno il senso del pontificato di Papa Bergoglio nei vari ambiti del suo magistero. A iniziare dal nome -Francesco- e dal motto “Miserando atque eligendo” – “guardando con misericordia e scegliendo” – scelti per il suo pontificato. Guardare agli altri, alla maniera di Gesù, con misericordia, riconoscendone la dignità e il valore, a prescindere dalla condizione umana e sociale di ciascuno. Entrare in dialogo con tutti, il suo stile, superando i confini sia geografici che culturali; parlare e agire alla stessa maniera sia con i semplici che con i potenti. Fra l’oltre e l’altro. Non è senza significato che per il suo primo viaggio pastorale si sia voluto recare, l’8 luglio del 2013, a Lampedusa per rendere omaggio ai migranti, vittime di un terribile naufragio e che abbia concluso le sue “uscite” con la visita, lo scorso Giovedì Santo, ai detenuti del carcere di Rebibbia. Gli immigrati e i detenuti sono stati, infatti, sempre nel cuore di Papa Francesco. Per i primi ha anche “osato” sfidare i potenti – “una persona che pensa solo a costruire muri, ovunque essi siano, e non a costruire ponti, non è cristiana”, per i secondi – entrando in un penitenziario, si chiedeva “perché è toccato a loro e non a me?” – ha donato i suoi risparmi (200 mila euro), per sostenere progetti di recupero e inserimento sociale per i reclusi del carcere minorile. Per i poveri, come per il Popolo di Dio tutto, a lui affidato, ha dato la vita fino all’ultima goccia, morendo, come si dice, sul campo. Benché consapevole di essere seriamente malato, il giorno di Pasqua, vigilia del suo ritorno alla Casa del Padre, ha voluto benedire e abbracciare i suoi che, alla maniera di Gesù, ha tanto amato. Dalla stessa loggia dalla quale si era affacciato il 13 marzo 2013, giorno della sua elezione, per impartire la benedizione Urbi et Orbi, ha voluto concedere la sua ultima benedizione papale per poi fare un giro in piazza S. Pietro fra la folla assiepata per vederlo, abbracciarlo e manifestargli tutto l’affetto e la riconoscenza. Pur essendo stato sempre al centro delle dinamiche del mondo, Papa Francesco non ha perduto il rapporto con i piccoli, particolarmente importanti per lui. Rimarrà sempre nel ricordo delle vittime della guerra in Palestina, la telefonata serale, anche mentre era in ospedale, al parroco di Gaza per interessarsi se, nonostante i bombardamenti, lui e i suoi assistiti avevano potuto fare cena. Arrivava, in una parola, prima come uomo che come papa. Se è vero che la sua salita al Cielo ci lascia un vuoto, è altrettanto vero che il suo Pontificato ci lascia un pieno di idee, non ultima la celebrazione del Sinodo, quel cantiere da lui voluto per la costruzione di una Chiesa vicina alla gente, al cui interno possono trovare posto “tutti, tutti, tutti”, secondo uno slogan da lui spesso ripetuto. A noi il compito di onorare questa preziosa eredità.

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