Pace nei fatti!

i questi tempi è sempre più difficile parlare di pace, pur essendo sempre più necessario. Per questo sono importanti anche le "manifestazioni per la pace", come la Marcia svoltasi domenica scorsa nella nostra città, rinnovando una tradizione ormai ultracinquantennale per proclamare quanto sia bella e desiderabile la pace, quanto sia vitale per ciascuno di noi e per l'intera umanità. Manifestazioni per la pace, non tanto "manifestazioni di protesta", come tanti si esercitano ad organizzare, appoggiando una parte contro l'altra (se non una sola parte, trascurando di protestare contro l'altra) e che spesso si traducono in manifestazioni contro la pace, col risultato di suscitare altra violenza persino all'interno delle manifestazioni stesse.

i questi tempi è sempre più difficile parlare di pace, pur essendo sempre più necessario. Per questo sono importanti anche le “manifestazioni per la pace”, come la Marcia svoltasi domenica scorsa nella nostra città, rinnovando una tradizione ormai ultracinquantennale per proclamare quanto sia bella e desiderabile la pace, quanto sia vitale per ciascuno di noi e per l’intera umanità. Manifestazioni per la pace, non tanto “manifestazioni di protesta”, come tanti si esercitano ad organizzare, appoggiando una parte contro l’altra (se non una sola parte, trascurando di protestare contro l’altra) e che spesso si traducono in manifestazioni contro la pace, col risultato di suscitare altra violenza persino all’interno delle manifestazioni stesse. Lo slogan “Pace in azione” che ha caratterizzato la “Marcia della Pace 2025 esprime concretamente non solo scenografie di pace – comprese le soste animate con creatività, le testimonianze sull’emporio della solidarietà, la trovata dei simpatici “supereroi” dediti a portare serenità anche nelle corsie degli ospedali pediatrici – ma soprattutto la volontà di agire per la pace nella quotidianità, premessa indispensabile per una pace in cui tutti si possano ritrovare, ad ogni livello, da fratelli. Ma è quando si sposta l’orizzonte un po’ più in là che le cose vanno complicandosi sempre più. Anche una “tregua” raggiunta dopo infiniti tira e molla, come in Palestina, dimostra la sua fragilità e inadeguatezza: la pace, lì – come intuisce bene lo stesso card. Pizzaballa – è ancora molto lontana e chissà se qualcuno di loro la vedrà. Anzi, sembra più probabile che nessuno possa vederla, se lo spirito e la volontà che animano i contendenti sono di eliminarsi l’un l’altro. “Due popoli, due stati” risulta sempre più un miraggio finché non ci credono – come continuano a dichiarare – i diretti interessati. In un contesto simile pare diventare persino realistica anche la trovata più assurda e più beffarda di un Trump che vagheggia – ma sembra ne sia proprio convinto, tanto da minacciare Egitto e Giordania di ritorsioni se non accettano il suo piano di esodo in massa – di trasformare la striscia di Gaza nella più esclusiva riviera americana del Mediterraneo. E anche la pace agognata nella “martoriata” Ucraina, mentre stanno per compiersi mestamente e tragicamente i tre anni di guerra, appare ancora lontana; per ora solo una parola più pronunciata rispetto ai mesi scorsi. Intanto emergono particolari raccapriccianti sul piano orchestrato di torture inflitte con tutti i crismi dell’autorità, dalla parte russa, ai numerosi combattenti ucraini fatti prigionieri, alcuni dei quali, poi liberati negli scambi reciproci (unica parvenza di umanità…), ne rivelano i dettagli disumani. Alla “bestialità” della guerra si aggiunge così la “bestialità” della carcerazione, con il brutale invito ai carcerieri di sperimentare “nuove tecniche di tortura”, senza tema di essere denunciati. Si delinea, purtroppo, il baratto della terra – come se a nulla fosse valso l’aver combattuto per la libertà dell’intero Paese. Ma una parte di esso – dicono al Cremlino, e ora confermano alla Casa Bianca – vuole diventare russa!… Il baratto della terra può dunque trasformarsi anche in baratto delle “terre rare” di cui sarebbe ricca l’Ucraina e che deve ora conferire come merce di scambio per le “troppe” armi ricevute da oltreoceano. E’ solo un’altra delle sorprendenti teorie del nuovo comandante in capo di Washington. Insieme a tante altre, compresa la guerra del commercio – una guerra anch’essa, scatenata ora pure contro la UE, da cui nessuno uscirà vincitore. Compresa la guerra ai migranti – poiché di guerra si tratta con tanto di esercito e di “deportazioni” – alla quale sembrano adeguarsi un po’ tutti, persino il governo laburista inglese. Torna il papa a ribadire la dignità di ogni persona e, pur concedendo di non accogliere criminali, ricorda proprio alla società americana, in una lettera di questi giorni ai vescovi, il dovere umanitario verso chi fugge per tanti altri motivi, ripetendo il suo noto ritornello: “accogliere, proteggere, promuovere, integrare”. Principi che porrebbero fine ad ogni contesa e ad ogni guerra per una vera pace, nei fatti veri.

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