Sperare insieme

“Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto”. Questa citazione della lettera di Pietro al capitolo 3 è al centro del Messaggio di papa Francesco per la LIX giornata delle Comunicazioni sociali.

“Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto”.
Questa citazione della lettera di Pietro al capitolo 3 è al centro del Messaggio di papa Francesco per la LIX giornata delle Comunicazioni sociali.
Un centro non solo testuale. In qualche modo una sorta di “centro gravitazionale” dal quale tutto il messaggio sembra scaturire in ogni suo passaggio, ed al quale tutto il testo del Messaggio sembra convergere.
L’adorazione di Cristo nei nostri cuori è la fonte della nostra speranza.
Scrive il Papa nel suo messaggio: “Adorate il Signore, nei vostri cuori”: la speranza dei cristiani ha un volto, il volto del Signore risorto. La sua promessa di essere sempre con noi attraverso il dono dello Spirito Santo ci permette di sperare anche contro ogni speranza e di vedere le briciole di bene nascoste anche quando tutto sembra perduto”.
L’adorazione non è qui indicata come atto verso l’esterno, quasi un rivolgere la nostra attenzione fuori da noi, a un Dio nei confronti del quale siamo riverenti ma sempre un po’…distante. Al contrario l’incontro tra la nostra povertà e la grandezza di Dio, è nel concreto della nostra vita, facendo così della “adorazione” un moto del cuore ed allo stesso tempo un movimento “nel” cuore del credente.
Il Signore non ci fa vedere una sorta di “salvezza in cartolina” ma attraverso il dono dello Spirito Santo porta la speranza dentro di noi, nella nostra vita e nella nostra storia di tutti i giorni.
In questo modo, ci ricorda il Santo Padre, siamo in grado di vedere con occhi nuovi, rinnovati nello Spirito, le briciole di bene che sono nascoste ai nostri occhi ma ben visibili agli occhi di Dio. Una prospettiva di speranza concreta, quindi, che diventa anche lo stile nuovo del nostro comunicare.
Sogno una comunicazione – dice ancora il Papa – che non venda illusioni o paure, ma sia in grado di dare ragioni per sperare. […] Per fare ciò – prosegue Francesco – dobbiamo guarire dalle “malattie” del protagonismo e dell’autoreferenzialità, evitare il rischio di parlarci addosso: il buon comunicatore fa sì che chi ascolta, legge o guarda possa essere partecipe, possa essere vicino, possa ritrovare la parte migliore di sé stesso ed entrare con questi atteggiamenti nelle storie raccontate. Comunicare così aiuta a diventare “pellegrini di speranza”, come recita il motto del Giubileo.
Continuando nella sua “meditazione” sul passo della lettera di Pietro, il Papa ci invita a “dare ragione della speranza che è in noi”.
Il secondo messaggio – sottolinea Francesco – ci chiede di essere pronti a dare ragione della speranza che è in noi. È interessante notare che l’Apostolo invita a rendere conto della speranza “a chiunque vi domandi”. I cristiani non sono anzitutto quelli che “parlano” di Dio, ma quelli che riverberano la bellezza del suo amore, un modo nuovo di vivere ogni cosa. È l’amore vissuto a suscitare la domanda ed esigere la risposta: perché vivete così? Perché siete così?
Dare speranza, rendere ragione…è vivere l’amore. La testimonianza della nostra fede – il “rendere ragione” – è sempre atto d’amore e dono di speranza. Non una bandiera da esporre, non leggi da fare rispettare, non biglietti da vidimare per l’accesso alla salvezza: il nostro rendere ragione è sempre “condivisione di speranza”.
Nel messaggio il Santo Padre ci invita a “sperare insieme”: a fare della speranza un’atto sociale, una manifestazione di pace, una ricerca cocciuta delle vie del dialogo.
E’ la Speranza – ci ricorda il Papa – nella quale viviamo (“amore vissuto”) che dà consistenza, profondità, alla nostra mitezza.
E la mitezza diventa così non solo atteggiamento umano, ma effusione dell’amore che sgorga, sulla croce, dal costato di Cristo: la mitezza è l’amore di Dio per noi. Non solo stile, quindi, ma sostanza.

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