Credere sperando

Torna puntuale nella seconda metà di gennaio (mese della pace) la Settimana di preghiere per l'Unità dei cristiani. Dal 18 al 25 in tutto il mondo i credenti in Cristo riflettono, pregano, invocano, si impegnano su questo tema, anzi su questa urgenza per vivere con maggiore coerenza la loro adesione al Maestro e per dare al mondo una testimonianza più credibile della loro fede.

Torna puntuale nella seconda metà di gennaio (mese della pace) la Settimana di preghiere per l’Unità dei cristiani. Dal 18 al 25 in tutto il mondo i credenti in Cristo riflettono, pregano, invocano, si impegnano su questo tema, anzi su questa urgenza per vivere con maggiore coerenza la loro adesione al Maestro e per dare al mondo una testimonianza più credibile della loro fede. Quest’anno il tema, prendendo spunto dal dialogo tra Gesù e Marta, sorella di Lazzaro, come viene narrato nel Vangelo di Giovanni, s’incentra sulla domanda che egli rivolge a lei dopo essersi definito “risurrezione e vita” e aver assicurato “chiunque vive e crede in me non morrà in eterno”: “Credi tu questo?”. Al che la donna, amica, risponde con una straordinaria testimonianza di fede che diventa emblematica in tutto il Vangelo: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo”. I testi – affidati ogni anno ad una Chiesa o comunità di ogni parte del mondo – per questo 2025 sono stati preparati da una comunità italiana a noi nota, anzi per molti si potrebbe dire anche familiare, la Comunità di Bose e quindi, in qualche modo, ci coinvolgono ancora più direttamente. L’eccezionale ricorrenza storico-ecclesiale del 1700° anniversario del Concilio di Nicea fa da punto di riferimento della confessione di fede e della preghiera liturgica che si sviluppa in questo “ottavario”. Anzi, proprio le frasi dell’essenziale simbolo “niceno” (poi niceno-costantinopolitano con il completamento del Concilio di Costantinopoli del 381) scandiscono lo scorrere degli otto giorni. Sarà importante soffermarsi sulla loro scultorea potenza e sulle implicazioni che hanno per la nostra fede e per la nostra vita, rafforzando la nostra adesione comune alle verità fondamentali in cui credono tutti i cristiani, di tutte le confessioni ancorché purtroppo per vari aspetti divise, confidando sempre più nella forza dello Spirito che ci conduce verso l’unità, in modo speciale in quest’anno santo della Speranza – in cui, per felice coincidenza, anche la Pasqua sarà celebrata nella stessa data in Occidente e in Oriente (come auspicato a Nicea, ma poi disatteso, e come ci si augura sempre in futuro, quale segno eloquente) -. Nel nostro territorio diocesano non è molto sentita l’urgenza ecumenica a causa di una presenza molto sporadica di credenti di altre confessioni; ma è necessario ravvivare la consapevolezza di questa dimensione per la vita stessa della Chiesa, sia locale che universale. Un motivo in più ci viene dato in questi anni dal tema della “sinodalità” che – come ha sottolineato più volte il papa, anche se spesso non viene evidenziato – ha uno stretto legame con l’ecumenismo, anzi in un certo senso coincidono: la sinodalità è ecumenica e l’ecumenismo è sinodale. A questo riguardo val la pena ricordare l’ultimo documento pubblicato il 13 giugno dell’anno scorso dal Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, “Primato e sinodalità nei dialoghi ecumenici e nelle risposte all’enciclica Ut unum sint”, dove appare con chiarezza il cammino fin qui compiuto e le incoraggianti prospettive che si aprono nel dialogo tra le Chiese, proprio grazie alla sinodalità, anche sul tema scottante del “primato”, discriminante nei rapporti tra la Chiesa cattolica e tutte le altre confessioni. In realtà – si constata e ci si rende conto sempre di più – il “primato” di Pietro, come intuiva già in quell’enciclica Giovanni Paolo II, va esercitato in un modo che non pregiudichi l’unità, ma che sia al suo servizio, poiché, come esso è riconosciuto implicitamente da tutti i cristiani così può diventare effettivo riferimento per tutti solo in un’autentica sinodalità. Principi importanti che poi si articolano in tanti altri elementi sia teologici che pastorali, nei quali c’è comunque tanto cammino da fare. In città a Chioggia, ma anche in tutte le comunità della diocesi, si avrà modo soprattutto di pregare in questi giorni. E nella basilica di S. Giacomo, dove il vescovo concluderà la “Settimana”, avremo modo di condividere anche una celebrazione eucaristica in un rito orientale, il rito bizantino-ucraino: in realtà si tratta di una Chiesa già unita alla cattolica fin dal secolo XVI (“uniati”), che però ci richiama anche all’urgenza dell’altro connesso bene comune della pace. In Ucraina le Chiese cristiane vivono una plurima “divisione”, anche tra quelle ortodosse (unite o no al patriarcato di Mosca): proprio l’unità tra cristiani vi si rivela in tutta la sua urgenza, come la divisione in tutta la sua “drammaticità”. Un motivo in più per pregare e sperare!

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