Ru486. Centri aiuto alla vita: “Ulteriore violazione del diritto a nascere. Non siano rese operative” Le nuove linee di indirizzo sulla Ru486 costituiscono “una ulteriore gravissima violazione del diritto a nascere dei figli”, della tutela della maternità durante la gravidanza, della “salute fisica e psichica della donna”. Per questo non devono essere rese operative. Lo sostengono i partecipanti al III corso di alta formazione per operatori Cav (Centri di aiuto alla vita) “Roberto Bennati”, intitolato “Generare sorrisi” e svoltosi a Folgaria (Trento) per iniziativa del Movimento per la vita italiano dal 23 al 30 agosto. In un documento, intitolato “Il materno salverà l’umano”, i partecipanti al corso bocciano senza esitazioni le nuove linee di indirizzo ministeriali sull’aborto farmacologico (Ru486) emanate il 12 agosto scorso e approvate dal Consiglio superiore di sanità e dall’Aifa, e rivolgono un appello ai governatori delle regioni e ai candidati alle prossime elezioni regionali. Le modalità “introdotte dalle suddette linee di indirizzo – possibilità di assumere la Ru486 fino a 63 giorni, pari a 9 settimane compiute di età gestazionale, presso strutture ambulatoriali pubbliche adeguatamente attrezzate, funzionalmente collegate all’ospedale ed autorizzate dalla Regione, nonché consultori, oppure day hospital - costituiscono una ulteriore gravissima violazione del diritto a nascere dei figli che vivono e crescono nel grembo delle loro madri, dell’autentica tutela sociale della maternità durante la gravidanza, della salute fisica e psichica della donna”, esordiscono i firmatari del testo. “Inaccettabile – proseguono - che tutto il processo di morte sia scaricato sulla donna lasciata sola a gestire gli effetti collaterali avversi della Ru486, esponendola ad un reale rischio sanitario fisico non tutelato”. Non trascurabili anche “gli aspetti psicologici che, vissuti in solitudine, rendono prevedibilmente ancora più pesante la ferita psicologica che l’aborto volontario reca comunque alla donna”. Ne discende “la necessità di rendere non operative tali linee di indirizzo che contrastano formalmente con alcuni articoli della legge sull’aborto 194/1978 la quale non rimanda a provvedimenti ministeriali la sua applicazione, prevede il ricovero ospedaliero (art. 8) e, pur nella sua totale iniquità, contiene alcune disposizioni che manifestano una preferenza per la nascita”. Di qui il richiamo all’art. 1 sulla tutela della vita umana sin dal suo inizio e il rifiuto di considerare l’aborto come mezzo di controllo delle nascite, e all’art. 5 sulla “ricerca di soluzioni dei problemi proposti, l’aiuto a rimuovere le cause che porterebbero la donna all’aborto, la promozione di ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari anche durante la gravidanza”. Gli estensori del documento ritengono inoltre di “particolare gravità” l’effettuazione dell’aborto nei consultori “data la funzione attribuita agli stessi di tutelare la salute della donna e del figlio chiamato ‘prodotto del concepimento’ (secondo l’art. 1 della legge 405/1975) e di contribuire a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza (art. 2 lettera D legge 194/1978)”. Nel ricordare che la Corte costituzionale “nella sentenza n. 35 del 1997 ha dichiarato inammissibile la richiesta di referendum radicale che voleva ampliare la permissività della legge 194 nella stessa direzione in cui vanno le linee di indirizzo”, il documento esprime “solidarietà nei confronti dei medici e di tutto il personale obiettore” e chiede che il diritto all’obiezione di coscienza sia correttamente mantenuto per tutto il corso dell’intervento abortivo e che pertanto l’intero percorso dell’aborto farmacologico, dalla somministrazione della prima pillola all’espulsione del figlio fino alla chiusura della cartella clinica, avvenga sotto il controllo e la responsabilità dei medici e del personale non obiettore”. Provvedere a stilare, “in virtù dell’autonomia organizzativa regionale del nostro Sistema sanitario nazionale, protocolli diversi da quelli indicati dalle linee di indirizzo ministeriali in modo da evitare la banalizzazione e la privatizzazione dell’aborto”, l’appello rivolto ai Governatori delle regioni.Ai candidati alle prossime elezioni regionali i partecipanti al corso chiedono “un serio e formale impegno ad inserire nella propria agenda politica la tutela del diritto alla vita dal concepimento; la tutela della maternità nella fase, così unica e speciale, della gravidanza; l’attenzione ai consultori affinché svolgano reale attività di prevenzione dell’aborto una volta che il concepimento è avvenuto; il sostegno anche economico e la promozione di realtà che sul territorio si adoperano per favorire percorsi di nascita condividendo le difficoltà delle gestanti e liberandole dai condizionamenti che le porterebbero all’aborto”. “Ormai – si legge nella parte conclusiva del documento - l’ultimo presidio della vita umana nascente è la coscienza individuale, familiare e sociale”. Di qui l’importanza fondamentale di “rivolgere lo sguardo sul concepito riconoscendolo un essere umano a pieno titolo, un figlio, uno di noi” perché “riconoscere l’uguale dignità di ogni essere umano dal concepimento” è “dovere basilare dell’intero ordinamento giuridico e sorgente da cui scaturisce un generale rinnovamento della società”. L’invito, infine, a “promuovere la consapevolezza del valore della fertilità umana maschile e femminile”. “Nella difesa della vita nascente – la conclusione del testo - le donne hanno un ruolo di primaria importanza per quello speciale ‘cuore a cuore’ col figlio che vive e cresce dentro la donna”; per questo “il materno salverà l’umano”.Giovanna Pasqualin Traversa