Pietro e Paolo: alla radice di tutta la fede cristiana c'è una storia di perdono La liturgia della Chiesa presenta dei casi curiosi: abbiamo una festa per Francesco d’Assisi o per Caterina da Siena ma non abbiamo una festa per Pietro o per Paolo; abbiamo la Cattedra di Pietro (22 febbraio) o la Conversione di Paolo (25 gennaio), dove contempliamo degli aspetti specifici - l’insegnamento e la conversione - dei due pilastri assoluti della Chiesa del primo secolo; ma per sé stessi dobbiamo celebrarli insieme. Eppure – con tutto il rispetto per Francesco e Caterina - sono molto più importanti, essendo alla radice di tutta la fede cristiana. Ma sono così diversi… un dotto e un ignorante, il primo e l’ultimo degli apostoli, l’evangelizzatore dei giudei e l’evangelizzatore delle genti. La Chiesa ha voluto celebrarli insieme sin da subito (la liturgia è attestata sin dai primi secoli), e ci sono vari motivi per questa scelta: il senso della comunione, in primis, che permette di far convivere due persone tanto diverse; non si può fare a meno di nessuno dei due, e farli stare insieme vuol dire avere la fede cattolica, che non permette assolutizzazioni e richiede equilibro. Ma quel che questi due apostoli hanno in comune, esistenzialmente, è una cosa ben precisa: vengono entrambi dall’errore. La loro è una storia di perdono. Sono queste le colonne della nostra fede: un rinnegato e un persecutore. Non hanno solo incontrato Cristo, ma l’hanno incontrato nella caduta, ed è questo il loro Vangelo: la misericordia di Dio. All’origine della vita nuova c’è il perdono dei peccati.Fabio Rosini