Malattie rare: ipofosfatasia, sensibilizzazione, linee guida e collaborazione tra gli specialisti gli strumenti per una diagnosi precoce Non sono pochi i pazienti in Italia affetti da ipofosfatasia (Hpp). Alcune evidenze di letteratura indicano per le forme severe una prevalenza di 1 persona su 300.000 nella popolazione generale. A loro è stato dedicato il webinar "Ipofosfatasia - Il ruolo della cooperazione multistakeholder nella gestione del paziente", promosso da Isheo, società italiana specializzata in ricerca e consulenza nel settore sanitario. L’ipofosfatasia è una malattia rara ereditaria, metabolica e sistemica, che può portare distruzione e deformità delle ossa, profonda debolezza muscolare, convulsioni, insufficienza respiratoria e persino morte del paziente. La malattia colpisce persone di tutte le età con un ampio spettro di manifestazioni cliniche e un sostanziale impatto negativo sulla qualità della vita. A causa della sua complessità e dell’eterogeneità delle sue manifestazioni, l’Hpp spesso non viene diagnosticata o viene diagnosticata in modo errato portando a un importante ritardo diagnostico, di 10 anni in media, e a una conseguente evoluzione della malattia nel tempo. Come afferma Maurizio Mazzantini, medico dell’Uo Reumatologia dell’Azienda universitario ospedaliera di Pisa, “bisogna che i medici di medicina generale e gli specialisti abbiano coscienza e conoscenza del valore dell’attività della fosfatasi alcalina e, quindi, prescrivere questo esame del sangue ogni qual volta ci siano condizioni di dubbio, quali alterazioni dentarie, mialgie, fratture”. Dello stesso parere anche Marco Pitea, pediatra, responsabile dell’Ambulatorio Patologia ossea dell’Irccs San Raffaele Milano: “Basterebbe un semplice dosaggio ematico per porre il sospetto di questa condizione. Il pediatra di famiglia è la prima persona con cui i pazienti si interfacciano, quindi il suo coinvolgimento è fondamentale. In caso di sospetto potrà inviare il paziente ai centri di riferimento individuati a livello regionale nella rete delle malattie rare”. Una malattia che va affrontata, quindi, con la cooperazione multistakeholder, commenta Davide Integlia, general manager di Isheo: “La formazione continua, la definizione di linee guida specifiche e la creazione di reti di collaborazione tra specialisti sono strumenti indispensabili per ridurre i ritardi diagnostici e garantire interventi tempestivi ed efficaci”. Chi conosce bene cosa significhi vivere con l’Hpp è Luisa Nico, presidente dell’Associazione pazienti ipofosfatasia (Api). Luisa ha 57 anni e vive a Roma. A 49 anni, dopo tante sofferenze e con molto ritardo, le è stata diagnosticata l’Hpp. “L’ipofosfatasia è insidiosa, subdola e faticosa da affrontare – racconta -. Avere l’ipofosfatasia, nel quotidiano, significa avere difficoltà a fare una semplice passeggiata, a guidare la macchina, a firmare un documento, a svolgere un lavoro o fare le pulizie di casa, così come allacciarsi le scarpe o regolarsi la cintura dei pantaloni. Significa stravolgere la propria routine e limitare, se non cancellare definitivamente, molte abitudini. Vivere soli è complicatissimo. La presenza di un caregiver, un familiare, un qualcuno da cui dipendere, purtroppo, è sostanziale”. Luisa oggi rappresenta l’Api: “Da molto tempo, l’associazione prova a essere un punto di riferimento per i pazienti e i propri cari. Mentre il progresso scientifico compie i suoi passi, API dà un aiuto e un sostegno sincero a tutti coloro che ne hanno bisogno, promuovendo campagne di informazione e di sensibilizzazione, agendo da punto di ascolto e da riferimento per specialisti e centri di terzo livello, così come ponendo l’accento su cure solo apparentemente secondarie come il benessere mentale e fisico. L’obiettivo è accompagnare i pazienti e i propri cari in questo percorso per garantire loro il pieno sostegno”.Gigliola Alfaro