Olimpiadi 2024. Mattei (Athletica Vaticana): “Tifo Amelio Castro Grueso, che ogni giorno impiega due ore per andare in carrozzina ad allenarsi” Le caselle del medagliere, che iniziano a riempirsi, e l’atteggiamento virtuoso, con i fatti e con le parole di atlete ed atleti, sopiscono almeno in parte gli echi delle diverse polemiche che hanno segnato l’inizio dei Giochi Olimpici di Parigi 2024, rilanciando il messaggio di quella Carta olimpica ricordata anche nella promessa fatta prima che tutti inizino a gareggiare. Una formula con la quale si ricorda lo spirito del fair play, la pratica dello sport senza doping e imbrogli, per la gloria dello sport, per l'onore delle proprie squadre e in rispetto dei principi fondamentali dell'olimpismo, cioè una filosofia di vita che, associando lo sport alla cultura ed all'educazione, vuole favorire l’avvento di una società pacifica, impegnata a difendere la dignità umana. Principi che si ritrovano anche nel libro “Giochi di pace” pubblicato su iniziativa di Athletica Vaticana, con la prefazione di Papa Francesco, dove vengono raccontate storie di sport sullo stile dell’associazione polisportiva ufficiale della Santa Sede. Abbiamo incontrato Giampaolo Mattei, presidente di quella che ormai è stata soprannominata la “squadra del Papa”, per chiedere a lui che cura anche una rubrica specifica su L’Osservatore Romano, alcune cose di sport e sui Giochi olimpici. Quali sono i legami tra Vaticano e Giochi olimpici nella storia? Pierre de Coubertin avrebbe voluto che nel 1908 Roma ospitasse i Giochi. Ne aveva parlato anche con Papa san Pio X e il cardinale segretario di Stato, Rafael Merry del Val. Quell’edizione olimpica ebbe poi Londra come sede. Ma in Vaticano si svolsero comunque Giochi sportivi, rilanciando l’esperienza già vissuta nel 1905 e ripetuta poi nel 1913, con il Papa primo spettatore a incoraggiare gli atleti nei cortili vaticani, trasformati persino – il Belvedere – in pista di atletica. Oltretutto quelle gare di atletica in Vaticano, a inizio Novecento, hanno visto protagonisti anche atleti con disabilità: atleti amputati nella velocità e atleti non vedenti nel salto in alto, con tanto di interviste su "L’Osservatore Romano". Ben quarant’anni prima del movimento paralimpico che solo ai Giochi di Roma nel 1960 ha trovato la consacrazione, per poi consolidarsi nelle successive edizioni. E allora, forse, le Paralimpiadi sono nate proprio in Vaticano. A ricordarlo c’è anche la toponomastica: la strada che accarezza i Musei Vaticani, all’interno dei Giardini, si chiama Viale dello Sport. Proprio in ricordo di quei Giochi. Quali sono i Paesi che potrebbero fare la differenza in queste Olimpiadi? Sicuramente la differenza la fanno i 36 atleti olimpici e 8 paralimpici (più una guida per un non vedente) del Team dei rifugiati, presente per la terza volta ai Giochi dopo le edizioni di Rio de Janeiro e Tokyo. Una presenza - segno di riscatto, di speranza e di pace - in rappresentanza di oltre 100 milioni di sfollati nel mondo. Molti di questi atleti vivono in campi profughi. Masomah Ali Zada, ciclista afghana e capo missione del Team dei rifugiati a Parigi, fa presente che l’obiettivo è sì fare bene nelle gare, ma anche dare un contributo per una società più inclusiva per tutti, insistendo sull’apporto che i rifugiati possono dare alle comunità dove vivono. Lo sport può essere davvero esperienza di inclusione autentica. Una previsione e/o una speranza sull’Italia a questi Giochi? La speranza è che ogni atleta viva l’esperienza dei Giochi con la gioia e la purezza del sogno che aveva da bambino, con lo stesso spirito “amateur” anche al massimo livello. Nella Lettera aperta agli sportivi che sono a Parigi, Athletica Vaticana ha espresso l’augurio che ciascuno possa vivere esperienze di “passione, inclusione, fraternità, spirito di squadra, lealtà, riscatto, impegno e sacrificio. Ogni allenamento, ogni sfida superata, ogni momento di difficoltà affrontato con coraggio, vi ha portato a i Giochi olimpici. Con una consapevolezza: lo sport non è solo vittoria o sconfitta, lo sport è un viaggio nella vita che non si fa mai da soli”. Sono diversi gli amici atleti vicini all’Athletica Vaticana, in che modo è nata questa amicizia e per chi di loro fate il tifo? La comunità di Athletica Vaticana si propone come “compagna di viaggio” delle donne e degli uomini di sport. Negli anni sono nate collaborazioni divenute amicizie fraterne. Con particolare affetto il tifo sarà per Amelio Castro Grueso, atleta paralimpico, che a Parigi sarà in gara nella scherma con il Team dei rifugiati. Capace di un sorriso che nasce dalla sua fede cristiana, abbracciata negli anni di solitudine in ospedale dopo l’incidente che gli ha fatto perdere l’uso delle gambe, Amelio ha trovato nello sport una strada di riscatto umano. A Roma è stato ospite della Caritas e ora vive in un Centro per rifugiati. Ottenuto lo status di rifugiato, si allena con il gruppo sportivo della Polizia di Stato e impiega due ore ogni giorno per raggiungere la palestra percorrendo con la sua carrozzina le strade di Roma. I mezzi pubblici non sono attrezzati per una persona con disabilità. In che modo lo sport e, in particolare, i Giochi Olimpici promuovono i valori cristiani come la fraternità, la solidarietà e il rispetto per l'altro? Lo sport olimpico e paralimpico – proprio con le sue appassionanti storie umane di riscatto e di fraternità, di sacrificio e di lealtà, di spirito di gruppo e di inclusione – può essere un originale canale diplomatico per saltare ostacoli apparentemente insormontabili. Questo lo dice Papa Francesco. La Carta olimpica indica il principio della centralità della persona nella sua dignità e si impegna a contribuire alla costruzione di un mondo migliore, senza guerre, educando i giovani attraverso lo sport praticato senza discriminazioni, in uno spirito di amicizia e solidarietà. È nell’anima dell’attività sportiva unire e non dividere e i cinque anelli intrecciati, simbolo e bandiera dei Giochi olimpici, stanno proprio a rappresentare lo spirito di fratellanza che dovrebbe caratterizzare la manifestazione olimpica e la competizione sportiva in generale. Qual è la posizione dell'Athletica Vaticana riguardo alle questioni etiche legate alle Olimpiadi moderne, come il doping, la commercializzazione dello sport e i diritti umani? Nel suo piccolo, Athletica Vaticana testimonia che lo sport è un’esperienza umana capace di arrivare veramente a tutti, per il suo linguaggio popolare e comprensibile. Per questo non si deve mai perdere quello stile di semplicità che mette freno alla ricerca smodata del denaro e del successo “a tutti i costi”, cedendo alla tentazione di scorciatoie. Con il rischio di travolgere atlete e atleti nel nome del profitto, facendo loro perdere la gioia che li ha attratti fin da piccoli. Come si può preservare lo spirito olimpico in un mondo sempre più competitivo e commercializzato? Papa Francesco suggerisce che la parola-chiave per lo sport, oggi più che mai, è “vicinanza”. Ha scritto nella prefazione del libro “Giochi di pace”: “È il primo suggerimento che, come ‘allenatore del cuore’, propongo sempre ad Athletica Vaticana per delineare l’essenza della sua presenza di condivisione: correndo o pedalando o giocando insieme con tutti gli sportivi. Mettendo insieme talenti diversi anche per costruire una società migliore, più giusta. Quando si fa sport insieme non importa la provenienza, la lingua o la cultura o la religione di una persona. Questo è anche un insegnamento per la nostra vita e ci richiama alla fraternità tra le persone, al di là delle loro abilità fisiche, economiche o sociali”. Come lo sport può essere uno strumento per promuovere l'inclusione e la diversità all'interno della Chiesa? Mi permetto di ritornare ai giochi sportivi organizzati in Vaticano a inizio Novecento. Papa san Pio X, a chi gli diceva: "Dove andremo a finire?" – vedendo 2000 atleti, venuti da diversi Paesi, correre nelle strade vaticane –, ebbe a rispondere in dialetto veneziano: "Caro elo, in paradiso!". Il servizio di Athletica Vaticana è centrato sulla testimonianza che l’esperienza sportiva riesca a mettere insieme donne e uomini di culture e religioni diverse costruendo esperienze di fraternità. Ricevendo Athletica Vaticana il 13 gennaio Papa Francesco delinea la strada: “Care amiche e cari amici, è molto significativo che voi proviate a fare tutto ciò condividendo la vita degli altri sportivi, correndo o pedalando o giocando insieme con loro. Le iniziative di Athletica Vaticana – da quelle più semplici e spontanee alla partecipazione ad eventi sportivi internazionali – acquistano il loro pieno senso in quanto espressione di una comunità formata da donne e uomini che, legati dal comune servizio alla Santa Sede, vivono la loro passione sportiva come esperienza di evangelizzazione. Per questo, oltre all’attività sportiva, la vostra associazione propone anche momenti di preghiera e di servizio ai più bisognosi. Rientra in pieno nella vostra missione la vicinanza – parola-chiave – concreta ai più fragili: penso alle iniziative con i giovani con disabilità fisica o intellettiva, con le detenute e i detenuti, con i migranti, con le famiglie più povere. Ed è bello che a questi incontri partecipino tutti con la stessa dignità, compresi campioni olimpici e paralimpici, diplomatici e membri della Curia”. Dopo i Giochi olimpici inizieranno i Giochi paralimpici che, vista la sempre più numerosa partecipazione agonistica, sembra essere la testimonianza di come lo sport non sia una discriminante ma, piuttosto, esempio di passione condivisa. Quanto è giusta questa affermazione? L’obiettivo del movimento paralimpico non è soltanto celebrare un grande evento, ma dimostrare quello che atleti — pur fortemente feriti nella vita — riescono a raggiungere quando sono messi nelle condizioni di poterlo fare. E se vale per lo sport, tanto più deve valere per la vita. Sì, non solo nello sport — che, però, aiuta per la sua capacità di comunicare e suscitare emozioni — le persone con disabilità vanno messe nelle condizioni di esprimere ciò che possono fare. Creando pari opportunità. Costatando consapevolmente i limiti della disabilità (che ci sono), ma guardando anche l’enorme potenzialità che ancora ciascuno può esprimere. Se ne ha la possibilità, appunto. Lo sport può aiutare a far crescere la comprensione della disabilità fino ad abbracciarla come risorsa. Vedere le abilità di un atleta paralimpico di alto livello porta inevitabilmente alla curiosità, a interrogarsi: ma come fa, con quelle protesi? E se lo si può fare nello sport, perché non in un ufficio o in classe? Con lo sport si può — si deve — coltivare la consapevolezza di cambiare la percezione della disabilità nella quotidianità di una famiglia, di una scuola, di un posto di lavoro. Lo sport, più di qualsiasi altra esperienza umana, rappresenta una “medicina sociale” per aiutare tanti ragazzi con disabilità a ripartire. “Resilienza”, si chiama, e a un atleta paralimpico non devi spiegarla. Recuperando anche il concetto sportivo dell’assist, l’assistenzialismo dovrebbe essere quell’esperienza di persone che si aiutano l’una con l’altra. Ecco che il concetto di assistenzialismo può essere declinato in positivo. È ipotizzabile pensare che un giorno si possa vedere sfilare la bandiera vaticana non solo tra quelle dei Piccoli Stati ma anche alle Olimpiadi? Nel servizio del Dicastero per la cultura e l’educazione e di Athletica Vaticana, i due soggetti sportivi della Santa Sede, non è una priorità. Il senso di questa presenza concreta nel mondo dello sport è condividere, in semplicità e umiltà, una testimonianza cristiana tra le donne e gli uomini di sport costruendo relazioni di amicizia che diventano fraternità e hanno il sapore della pace. L’esperienza bellissima di Athletica Vaticana nella comunità dei Piccoli Stati d’Europa racconta proprio questa fraternità semplice nello sport. Marco Calvarese