Cappellani carceri: mons. Marcianò (Omi), "il compito del sacerdote non è il giudizio, non è la condanna ma la misericordia, la 'compassione'" "Se proviamo a pensare al carcere, non facciamo fatica a immaginarlo come un mondo in cui, alla tenebra della mancanza di libertà, si associano altre criticità a voi note. Penso a problemi quali il sovraffollamento, le tante angosce personali, i drammi delle dipendenze e dei suicidi, non ultimo i casi di maltrattamento di parte di alcuni. Tenebre reali nelle quali c’è la necessità di aprire spazi di Speranza e illuminarli con la Luce di Cristo. Accanto a questi drammi, infatti, sempre più nascono nelle carceri esperienze di impegno, lavoro, creatività, arte, solidarietà, che associano al riscatto sociale una vera e propria rinascita dell’umano. Sono i frutti che si raccolgono quando, per dirla ancora con il vostro convegno, si passa 'dall’indifferenza alla cura'; si valorizza il ruolo del carcere nell’alveo di una 'funzione rieducativa della pena'". Lo ha detto l'ordinario militare in Italia, mons. Santo Marcianò, in una messa celebrata durante il V convegno nazionale dei cappellani e degli operatori della pastorale penitenziaria, in corso fino a domani ad Assisi. Rivolgendosi ai cappellani ha affermato: "La vostra opera è l’opera stessa salvifica del Cristo!". E ha chiarito: "Il compito del sacerdote non è il giudizio, non è la condanna ma la misericordia, la 'compassione'. E il tema della misericordia assume straordinaria valenza in un mondo come questo; non solo perché visitare i carcerati è un’opera di misericordia ma perché Gesù stesso si è identificato con loro: 'Ero carcerato e mi avete visitato' (Mt 25,36). Non basta, dunque, 'fare' qualcosa per i carcerati ma bisogna 'essere' per loro, come Gesù". Mons. Marcianò ha ricordato: "Il carcerato può essersi macchiato di delitti gravi o lievi, può essere un pericoloso criminale o anche un innocente. È comunque persona e rimane persona! Dalla chiarezza di tale verità deriva la 'cura' dovuta a ciascun carcerato, inclusa la sua 'recuperabilità', la possibilità di un cammino di conversione che l’essere umano può sempre compiere e la comunità cristiana deve accompagnare: anche la peculiare comunità che si crea in carcere, grazie alla presenza e al ministero di voi cappellani, a volte coadiuvato dal lavoro di tanti laici, volontari, catechisti...". L'ordinario militare ha aggiunto: "Credo che la sfida di cui il mondo delle carceri oggi possa fare esperienza - e possa diventare quasi 'profezia' - sia proprio qui: avendo sbagliato a motivo della libertà, e vivendo ora in assenza di libertà, riscoprire la chiamata a vivere una libertà vera, piena, salvifica: la libertà dell’amore! Non è forse per poter amare che l’uomo è creato libero? Non è forse nell’amore che la salvezza si compie, restituendo all’essere umano la capacità di amare, che è ferita da ogni tipo di peccato? Cari amici, ecco dove si colloca la delicatezza e la bellezza del vostro ministero, della vostra vocazione, dell’opera di salvezza a cui il Signore vi chiama verso i carcerati". Mons. Marcianò, da ordinario militare, ha concluso con un pensiero al personale della Polizia penitenziaria "facendo riferimento ad una pastorale specifica da valorizzare".Gigliola Alfaro