Istat: disoccupazione stabile al 7,6%, salgono gli occupati tra gli ultra cinquantenni I dati complessivi dell’Istat sull’occupazione continuano a fornire segnali positivi ma un’analisi più dettagliata mette in evidenza aspetti problematici di notevole rilevanza che consigliano una lettura in chiaroscuro. La nota dell’Istituto nazionale di statistica sul mercato del lavoro, relativa al terzo trimestre 2023, riferisce che “gli occupati aumentano in termini congiunturali di 65 mila unità (+0,3% rispetto al secondo trimestre 2023), a seguito della crescita dei dipendenti a tempo indeterminato (+75 mila, +0,5%) e degli indipendenti (+10 mila, +0,2%) che ha più che compensato il calo dei dipendenti a termine (-19 mila, -0,6% in tre mesi); il numero di disoccupati è sostanzialmente stabile (+2 mila, +0,1% in tre mesi) e prosegue il calo degli inattivi di 15-64 anni (-84 mila, -0,7%)”. Dal punto di vista dei tassi – e quindi del rapporto con la corrispondente popolazione di riferimento – l’andamento è sostanzialmente analogo: il tasso di occupazione sale al 61,5% (+0,2 punti), quello di disoccupazione è stabile al 7,6% e il tasso di inattività 15-64 anni scende al 33,3% (-0,2 punti). A fronte di questo quadro prevalentemente positivo, l’Istat sottolinea però che “la crescita dell’occupazione e del relativo tasso interessa soltanto gli ultracinquantenni”. Tra i 35-49enni, infatti, al tasso di occupazione stabile si associa un calo del numero degli occupati e tra i giovani diminuiscono entrambi gli indicatori. Su questa dinamica incidono sicuramente i fattori demografici che già da tempo hanno cominciato a condizionare fortemente il mercato del lavoro. Ma questa considerazione non rende meno preoccupante il dato di una diminuzione degli occupati tra i giovani, al contrario ne aumenta la gravità in quanto lo riconduce a una causa di tipo strutturale. Un recentissimo studio della Cgil, elaborato a partire dai dati provvisori relativi al mese di ottobre diffusi dall’Istat il 30 novembre scorso, prova ad allargare lo sguardo. Gli analisti del sindacato di Corso d’Italia rilevano che il tasso di occupazione è aumentato del 3,5% rispetto a ottobre 2008 (un anno a partire dal quale si sono succedute le diverse crisi socio-economiche), passando dal 58,3% al 61,8% di ottobre 2023. Ma “se la popolazione lavorativa fosse rimasta la stessa di ottobre 2008, il tasso di occupazione ad ottobre 2023 si sarebbe attestato al 59,1%, crescendo soltanto di uno 0,8% e rimanendo ancora sotto il 60%”. Dati che mettono in luce come “la questione occupazionale in Italia, dal punto di vista demografico, abbia già assunto caratteristiche allarmanti”. Sempre rispetto a ottobre 2008 lo studio della Cgil osserva una crescita dell’occupazione di “bassa qualità”: “Sono aumentati del 30,2% gli occupati a termine, che hanno raggiunto quota 3 milioni, in particolare stagionali, somministrati, tempi determinati, intermittenti e con contratti di prestazione occasionale”. Una sottolineatura particolare per il part-time involontario (cioè non scelto dal lavoratore) che è il più alto dell’Eurozona e che è cresciuto dal 41,3% al 57,9% del 2022. Forse è proprio l’occupazione di “bassa qualità”, depotenziata e precaria, a spiegare almeno in parte la sfasatura registrata dall’Istat tra l’andamento del cosiddetto “input di lavoro” (che si misura dalle ore lavorate) e quello del Prodotto interno lordo. Crescono entrambi, ma con uno scarto notevole: rispetto al terzo trimestre dello scorso anno, il primo è aumentato dell’1,8%, il Pil soltanto dello 0,1%.Stefano De Martis