L'arduo compito di educare I recenti episodi di violenza (in tutti i sensi) minorile, in particolare quelli con echi a livello nazionale ma anche quelli a livello locale con le baby gang che infestano le nostre città (Chioggia non è estranea a questo incubo...) riportano all'attenzione, se mai ce ne fossimo dimenticati, l'urgenza dell'educazione, fin dai primi anni, nell'età della fanciullezza, come in quelle della preadolescenza e dell'adolescenza. Prima di tutto in famiglia: e tutti sappiamo quanto questa opera sia difficile, tra le pareti domestiche o nell'assillo degli incontri all'esterno. Se, purtroppo, alcuni genitori sembrano aver rinunciato a questo compito imprescindibile - vuoi perché non si sentono ascoltati, vuoi perché non si sentono, o di fatto non sono, all'altezza - altri (vorremmo sperare la maggioranza) continuano a ritenerlo un dovere inalienabile, consapevoli che l'amore per i figli si esprime innanzitutto offrendo loro degli orientamenti validi e dei supporti solidi per la loro crescita. Senza parlare, per altro, delle famiglie, ahimè sempre più numerose, che si sgretolano, con figli ancora in tenera età nei riguardi dei quali il compito educativo spartito a metà tra i genitori diventa certamente problematico. Prima la famiglia, comunque. Ma certamente anche la scuola. C'è stato chi, almeno nei decenni passati, affermava con piglio ideologico che compito della scuola è meramente la "istruzione", mentre non potrebbe arrogarsi il ruolo di ambito educativo: quasi che ogni insegnante con le sue lezioni e con la sua vita non diventasse comunque un punto di riferimento - positivo o negativo - per giovani in formazione. Come si notano gli effetti delle carenze familiari, così si rilevano facilmente quelle scolastiche. Non frequentare la scuola, e quindi non traendone beneficio nelle molteplici dimensioni della vita e del rapporto sociale, diventa elemento discriminante per non pochi "alunni mancati": l'alto tasso di abbandono scolastico, specie in alcune zone e per alcune fasce sociali, lo sta a testimoniare. Nessuno può nascondersi che altri sono gli ambiti educativi e formativi per fanciulli, ragazzi e giovani. Non dimentichiamo le comunità parrocchiali e le associazioni cristianamente o socialmente ispirate che continuano a dare il loro contributo, per quanto visibilmente ridimensionato. L'ambito di gran lunga predominante appare oggi quello dei new media o dei tanti social che attraggono, plasmano e alterano le personalità e le coscienze. Ne abbiamo prova continuamente, sia nell'esperienza personale (a gran fatica si cerca di limitarne l'uso ai più giovani) che nei dati di cronaca (con episodi quotidiani di manipolazione). E' pretestuoso, a questo punto, far ricadere la responsabilità solo su coloro che dovrebbero essere "educatori", poiché tutto un mondo attorno, di fatto, rema contro. Principale compito, in questa luce, sarebbe quello di educare all'uso corretto (e limitato) degli smartphone che rischiano di diventare la protesi indispensabile degli "educandi". La delinquenza minorile crescente non può non preoccupare. La favola dei minorenni "innocenti a prescindere" non può più essere raccontata. Don Maurizio Patriciello, parroco nel degradato Parco Verde di Caivano, osservava, disincantato e realista: "un diciassettenne che compie reati gravi è già scafato", cioè è già molto esperto e molto furbo. Il ruolo dei social è palese (ed è citato espressamente) anche in quelle tristi vicende. Non si può nascondersi dietro un dito, né giustificare tutto. L'intervento è necessario, certamente nelle forme preventive, ma anche con provvedimenti dissuasivi. A meno che si pensi di seguire l'assurdo esempio di quel giudice che non ritiene punibile l'immigrato che ha percosso più volte la moglie perché questo rientrerebbe nel suo bagaglio culturale!...Vincenzo Tosello