Le lezioni del Covid Nella primavera di un paio di anni fa sarebbe stata la notizia più attesa, oggi la più attesa è per certo la fine della guerra, la paura che dal 2022 ha surclassato quella targata 2020: il Covid 19. La fine della pandemia resta comunque un evento storico, confermato lo scorso fine settimana dal direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Tedros Ghebreyesus. Un annuncio onesto: senza toni trionfalistici, capace di riconoscere gli errori commessi e obiettivo sul fatto che l’emergenza pandemica può dirsi alle spalle ma il Covid resta. Ghebreyesus si è infatti espresso nei termini di “fine della emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale”. Significa che i rischi per la famiglia umana sono di molto diminuiti e questo, va detto chiaramente, è merito delle tante immunizzazioni dovute innanzitutto ai vaccini (oltre 13 miliardi le dosi inoculate nel mondo), quindi a coloro che - anche per le vaccinazioni effettuate- hanno superato indenni il contagio. L’Oms ha dichiarato che è in virtù del calo della mortalità e dei ricoveri che l’emergenza può dirsi finita ma ha comunque invitato a non abbassare la guardia poiché “il Sars Covid 2 è ancora un problema sanitario consolidato e in corso”. Vero e, al contempo, con poche probabilità d’ascolto: dopo tante chiusure e forti della cura trovata abbiamo un po’ tutti mentalmente lasciato la pandemia alle spalle e in Italia dal primo maggio è decaduto l’obbligo delle mascherine anche negli ospedali e strutture sanitarie (Veneto escluso che ne ha prolungato l’obbligatorietà fino al 31 maggio). Anche se la pandemia e le sue restrizioni sono state rimosse con senso di sollievo non appena è stato possibile farlo con un discreto margine di sicurezza va detto che, dati alla mano, i numeri dei contagi – che non vengono più dati da mesi – non sono pari a zero. Nella settimana dal 28 aprile al 4 maggio in Italia si sono registrati quasi 21mila (20.822) nuovi casi, 166 decessi, 25mila (25.134) i guariti e 75 restano le persone in terapia intensiva. Dall’inizio del Covid, sempre in Italia, i contagiati sono stati quasi 26 milioni (25.809.208), i morti 190mila (189.904), i contagiati guariti 25 milioni e mezzo (25.493.751). Il Covid è un brutto incubo piovuto sul mondo, che ha causato (dati aggiornati al 3 maggio) 756 milioni di casi e poco meno di 7 milioni di morti (6.921.614). Per questo prima di accantonarlo è bene fare tesoro di alcuni insegnamenti, poiché li abbiamo pagati troppo a caro prezzo, alcune famiglie e alcune zone più di altre. Tedros Ghebreyesus ha riconosciuto che “il Covid 19 ha capovolto il mondo”, ammettendo che, se anche le vittime registrate sfiorano i 7 milioni, si può stimare che questo virus sia responsabile di almeno 20 milioni di vittime nel mondo: una strage che non deve ripetersi. Per questo lo stesso ha fatto, a nome della Oms, una serie di mea culpa: la pandemia è stata dichiarata in ritardo (11 marzo 2020), all’inizio c’è stata troppa incertezza e titubanza circa la necessità dell’uso delle mascherine, non è stato stabilito un criterio condiviso per la registrazione delle vittime (il che spiega la discrepanza tra 7 e 20 milioni di morti) e solo un anno dopo lo scoppio - nel 2021 – l’Oms ha inviato in Cina una commissione per capire l’origine del virus, non ottenendo peraltro risultati certi. A detta di studiosi, psicologi ma anche insegnanti, il Covid, la paura e l’isolamento conseguente hanno comportato una serie di manifestazioni e lasciato segni che ancora perdurano: maggiore irritabilità e litigiosità, difficoltà nei rapporti interpersonali, introversione, chiusura, asocialità. Papa Francesco, fin da subito e fin da allora, andava ripetendo che “siamo tutti sulla stessa barca” e che nessuno si salva da solo. Per questo noi tutti, e ancor più coloro che guidano le nazioni, dobbiamo alle vittime del virus e a chi ancora soffre per le sue dirette o indirette conseguenze l’obbligo di tenere bene presenti tre lezioni: che non possiamo fare a meno della ricerca (vaccini), che abbiamo un debito verso medici e infermieri (gli eroi della prima ora), che è indispensabile un efficiente sistema sanitario nazionale, il quale purtroppo dopo aver salvato tanti si trova oggi in sofferenza per ritardi, carenze e disservizi.Simonetta Venturin