Inizia il tempo di Avvento. L’attesa e la pazienza

Domenica 28 novembre inizia il tempo di Avvento. Un’occasione formidabile, che si presenta ogni anno, per ricordarci che viviamo nell’attesa del ritorno del Signore. Ma poiché spesso ce ne dimentichiamo e la nostra attenzione è presa da altre, insignificanti attese e ci distraiamo dalla potenza del gesto, è come se l’Avvento venisse per allenarci a tenere desta la nostra attenzione. Tutto, a partire dalla liturgia, ci ripete: «Guarda che tu sei qui per questo: per attendere Lui». L’intensità dell’aspettativa troverà poi il suo culmine nel Natale quando il Signore ci conferma che, essendo già stato tra noi, nelle nostre case, nei nostri vestiti, sotto il nostro cielo, prima o poi ritornerà.

foto SIR/Marco Calvarese

Domenica 28 novembre inizia il tempo di Avvento. Un’occasione formidabile, che si presenta ogni anno, per ricordarci che viviamo nell’attesa del ritorno del Signore. Ma poiché spesso ce ne dimentichiamo e la nostra attenzione è presa da altre, insignificanti attese e ci distraiamo dalla potenza del gesto, è come se l’Avvento venisse per allenarci a tenere desta la nostra attenzione. Tutto, a partire dalla liturgia, ci ripete: «Guarda che tu sei qui per questo: per attendere Lui». L’intensità dell’aspettativa troverà poi il suo culmine nel Natale quando il Signore ci conferma che, essendo già stato tra noi, nelle nostre case, nei nostri vestiti, sotto il nostro cielo, prima o poi ritornerà.
La Chiesa ci offre un’opportunità straordinaria. E ci mette davanti alle debolezze quotidiane: non è forse vero che l’attesa, oggi, in un mondo al contrario, è un ritmo che ci infastidisce? Avvertiamo all’istante una reazione di insofferenza. Noi, con tutti gli impegni che abbiamo, noi, così capaci di non stare mai fermi, di fare mille cose in una giornata, di esprimere un giudizio su tutto, dovremmo attendere? Diciamo di voler vivere lontano dagli affanni, ma se ci tolgono l’affanno, ci sentiamo persi. Il tempo senza qualcosa da portare a termine ci appare un tempo vuoto, dunque, inutile. La pandemia ce lo ha insegnato e ha svelato bene la singolarità – o la contraddizione – di certi comportamenti. Quando eravamo costretti a casa, con meno appuntamenti, nessun orario, poche scadenze… ci mancava qualcosa. Abbiamo sentito il vuoto attorno. E non siamo stati capaci di riempire quel vuoto con Lui.
L’attesa è anche la capacità di essere pazienti. Però che noia! La pazienza è dei vecchi, abita ai margini di una vita scintillante e seducente che abbiamo preso a modello. Sei vincente se hai tutto subito: è la logica della nuova comunicazione, dei social, di chi surfa sulla realtà e si è stancato di andare a fondo.
Oggi è la Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne e mi viene da dire che anche in amore non sappiamo più attendere nulla. Vogliamo in un attimo sentirci amati, compresi, perdonati, ammirati… fino a confondere l’idea del bene verso qualcuno con l’idea di possesso di qualcuno. Chi uccide una donna perché non è corrisposto, spesso si giustifica con la scusa che «l’ha fatto per amore». Un paradosso. Un cortocircuito delle parole e dei sentimenti. Al contrario, un rapporto autentico, fondato sull’unico amore che ci salva, il Suo, richiede attesa e pazienza; va coltivato di ora in ora; va annaffiato ogni mattina; va e- dificato su fondamenta solide quali il rispetto e la stima reciproca. Altrimenti non dura, anzi, non è amore.
Imparare l’attesa è salutare. Fa cambiare la metrica all’esistenza. Ci fa ascoltare tutta un’altra musica. Infine, ci fa diventare più belli perché quando ci disponiamo ad attendere qualcuno d’importante, scegliamo l’abito più elegante, ci pettiniamo, ci profumiamo, proprio come la sposa fa per il suo sposo. Così non potrà mai più accadere che lo sposo usi violenza sulla sposa, l’uomo sulla donna, il carnefice sulla vittima. E una panchina rossa sarà solo una panchina che si intona al colore del cuore.

(*) direttore “Il Popolo” (Tortona)

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