Lavoro: Inapp, “per aumentarne la qualità bisogna migliorare la gestione delle risorse umane e puntare sull’innovazione”

Per aumentare la qualità del lavoro “bisogna migliorare la gestione delle risorse umane e puntare sull’innovazione”. È quanto emerge dalla V Indagine dell’Istituto nazionale per l’Analisi delle politiche pubbliche (Inapp) sulla “Qualità del lavoro”.
Commentando i risultati, il presidente Sebastiano Fadda ha rilevato che sono state “le imprese capaci di coniugare condivisione e partecipazione delle attività, elevata flessibilità organizzativa, propensione allo smart working e forte orientamento all’innovazione e al cambiamento, che hanno pagato meno lo scotto della recente crisi sanitaria: solo l’11% di esse dichiara di aver subito forti effetti negativi dalla crisi per l’emergenza Covid, rispetto ad una incidenza media nazionale pari quasi al doppio (21%). Le imprese ‘tradizionali’ sono invece quelle che hanno subito gli effetti maggiori”.
Le analisi indicano che l’8% delle imprese italiane in cui ci si è impegnati per migliorare la gestione delle risorse umane e puntare sull’innovazione ha visto accrescere la propria competitività nei mercati e contemporaneamente la qualità del lavoro per i propri dipendenti. Sono le imprese “smart” (intelligenti) come ribattezzate dall’Inapp. “Imprese – viene osservato – che si caratterizzano anche per un’ampia partecipazione sia nella pianificazione delle attività (54,1% dei casi), che nella discussione dei cambiamenti organizzativi (73,6%) e attenzione al tema del life work balance (l’81% delle imprese ritiene responsabilità dell’azienda la conciliazione vita privata-lavoro). Per queste imprese la qualità del lavoro non costituisce un costo, piuttosto un volano”. Tra le imprese “smart” l’introduzione di cambiamenti e innovazioni ha generato nel 85% dei casi un incremento della produttività e nel 78% di fatturato, ma anche, in circa il 70% dei casi, un aumento sia del benessere che della motivazione dei lavoratori. In queste aziende, inoltre i lavoratori hanno una maggiore stabilità lavorativa (nel 91% di esse non sono presenti lavoratori a tempo determinato, e nel 78% dei casi il precariato porta alla successiva stabilizzazione).
Oltre alle “smart” nello studio Inapp emergono altre tre categorie di imprese: le “tradizionali di qualità” (50% delle imprese italiane) con un elevata consistenza di lavoratori permanenti, una bassa propensione allo smart working e un discreto livello di innovazione; le “ibride” caratterizzate da un elevato livello di lavoratori a tempo determinato e una bassa propensione al lavoro agile delle attività (20% delle imprese italiane) e, infine, le “resilienti” sia in termini di gestione delle risorse umane che d’innovazione (16% delle imprese italiane).

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