Coronavirus Covid-19: operatore socio-sanitario del bergamasco, “qui il contagio è quotidiano. Rispettiamo le regole!”

“In questa zona il contagio è quotidiano. Ogni giorno due nostri colleghi devono restare a casa. Al momento sono a casa in malattia 64 operatori. Per motivi di privacy non è dato sapere se di coronavirus o altro. Solo il caso di un medico è conclamato”: a parlare, in una intervista al Sir, è Federico Trebbi, 43 anni, bolognese, operatore socio-sanitario nella Fondazione I.P.S Cardinal Giorgio Gusmini onlus, con sede a Vertova, paesino di 5.000 abitanti, in Val Seriana a 10 km da Alzano e Nembro (tra i paesi con il più alto numero di contagi). “Bisogna assolutamente avere il massimo rispetto delle indicazioni delle istituzioni – questo è il suo appello –. Dobbiamo chiederci: preferiamo che ci si ammali tutti oggi, oppure tornare ad essere consumatori domani? Perché il rischio è che la cosa sia molto più grande di ciò che pensiamo”. Trebbi e i suoi colleghi stanno sperimentando in prima persona l’altissima tensione che si vive nelle strutture sanitarie nella zona a più alta incidenza di coronavirus in Italia, nel bergamasco. Uno dei consiglieri della Fondazione Cardinal Gusmini, Ivo Cilesi, 61 anni, è stato tra le prime vittime del coronavirus: era tra i massimi esperti di Alzheimer e aveva inventato la terapia della bambola. La struttura accoglie 250 pazienti: dalle Residenze sanitarie assistite per anziani al reparto hospice che accompagna i malati terminali. Altrettanti sono gli operatori. Trebbi lavora nel reparto per malattie neurovegetative – persone con ictus o gravi patologie celebrali –, altamente specializzato nella Sla e accreditato con il Servizio sanitario nazionale. Gli operatori socio-sanitari si occupano della fase assistenziale che comporta il maggior contatto con il paziente: igiene personale, mobilitazioni, sollevamento dai letti per metterli in carrozzina. Moralmente e psicologicamente la situazione è pesante. La solitudine e l’allontanamento dalle persone care è dolorosa: “Ora cerco solo di fare il mio dovere e lavorare senza pensare troppo”, dice. La sua speranza “è che gli italiani per una volta non facciano gli italiani e rispettino le regole. Perché se non siamo uniti diventiamo una barca destinata ad affondare. Non esiste la possibilità di ingannare questa malattia se non si va tutti in una unica direzione”.

© Riproduzione Riservata

Quotidiano

Quotidiano - Italiano

Riepilogo