Violenza su donne: ActionAid, “durante la pandemia case rifugio e centri lasciati soli”

I centri antiviolenza e le case rifugio durante la pandemia sono gli unici spazi che hanno continuato a funzionare del sistema antiviolenza, meccanismo spesso malfunzionante o addirittura inceppato. Solo l’enorme impegno messo in campo dai Cav, anche nelle situazioni più critiche come quelle lombarde, ha garantito alle donne che subiscono violenza di essere supportate. È quanto denuncia il nuovo rapporto di ActionAid “Tra retorica e realtà. Dati e proposte sul sistema antiviolenza in Italia”, che monitora i fondi statali previsti dalla legge 119/2013 (la legge sul femminicidio) insieme all’attuazione del Piano antiviolenza 2017-2020. Il rapporto 2020, inoltre, si è focalizzato sulla risposta all’emergenza Covid-19 in Lombardia, Calabria e Sicilia, mettendo in evidenza i ritardi ormai storici della ripartizione e erogazione dei fondi dallo Stato alle Regioni, che la pandemia ha reso ancora più gravi mostrando le enormi difficoltà gestionali, economiche e di coordinamento del sistema di protezione nelle tre regioni. “Durante il primo lockdown – segnala il rapporto -, quando dopo un iniziale crollo il numero delle chiamate di aiuto al 1522, tra marzo e giugno 2020 è più che raddoppiato rispetto al 2019 con 15.280 richieste (+119,6%), in Lombardia, ad esempio, c’è stata una forte riduzione dello staff nei Cav causata dal dimezzamento del numero di volontarie – generalmente di età medio-alta e quindi a rischio contagio – e dalla malattia o messa in quarantena di operatrici”. In aggiunta, “i Centri sono stati costretti a turni di lavoro estenuanti, come nel caso della provincia di Cremona, che ha esteso la propria reperibilità h24 con risorse umane ridotte del 50%. Questo a fronte di ritardi e della mancanza di procedure standard delle istituzioni. Dalla scarsità di mascherine e guanti (distribuiti solo in pochissimi casi dalle istituzioni locali come a Brescia) all’impossibilità di accedere ai tamponi, fino alla mancanza di spazi adeguati per isolamenti fiduciari. Nonostante la circolare inviata a marzo 2020 dal Ministero dell’Interno alle Prefetture per rendere disponibili alloggi alternativi, i centri – ad eccezione di quelli di Pavia – sono stati costretti a ricorrere a bed&breakfast o appartamenti messi a disposizione da conoscenti e privati”.
“L’epidemia ci ha dato lezioni che non dobbiamo dimenticare, prima tra tutte il ruolo essenziale dei Cav e delle case rifugio nel sostegno territoriale alle donne”, sostiene Elisa Visconti, responsabile dei Programmi di ActionAid. “Con la seconda ondata pandemica e con i nuovi lockdown territoriali – conclude -, i Cav corrono il rischio di arrivare al limite delle proprie capacità di sopravvivenza e di resilienza. Oggi è necessario istituire un Fondo di emergenza con risorse aggiuntive e prontamente disponibili e Cabine di regia locali che garantiscano efficacia e coordinamento per le reti territoriali, senza si rischia di negare alle donne una concreta via d’uscita alla violenza”.

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