Fine vita

Suicidio assistito: Pessina (Univ. Cattolica), uno Stato “ispirato a criteri di solidarietà e rispetto della persona non lo può avallare”

Uno Stato “ispirato a criteri di solidarietà e di rispetto della persona non può favorire, avallare, accettare che il suicidio assistito entri nelle corsie degli ospedali, nelle case di cura, nelle abitazioni dei suoi cittadini, creando una figura autorizzata a favorire la morte al posto dell’assistenza”. Ne è convinto Adriano Pessina, ordinario di Filosofia morale all’Università Cattolica di Milano. In una riflessione pubblicata sul giornale online dell’Ateneo, Pessina rileva che “l’assistenza al suicidio comporta la cooperazione nei confronti di un atto – il suicidio – di fatto giudicato negativamente nella legge che ne punisce l’istigazione”, e definisce fuorviante e offensivo nei confronti di tutti coloro che vivono i tempi lungi della malattia e della disabilità “collegare il suicidio assistito al concetto di ‘dignità’ o di ‘autonomia’, quasi che coloro che non intendono arrendersi alla sofferenza fossero privi di dignità, autonomia, libertà, autodeterminazione”. Il concetto di dignità, spiega, “garantisce il diritto alla vita e alla cura” e si oppone “a un inesistente diritto a morire”. La morte è “la cessazione del diritto, la fine dell’autonomia e della libertà”. Per questo “uno Stato può rispondere alle situazioni di estremo disagio favorendo e incrementando le cure, l’assistenza, il sostegno economico e sociale, non certo favorendo o avallando la morte volontaria di chi è in condizioni di estrema fragilità”. Inaccettabile, per il filosofo, la proposta di possibilità di obiezione di coscienza avanzata da chi vorrebbe la depenalizzazione del suicidio assistito: “un artificio retorico perché è evidente che laddove” non vi fossero soggetti disponibili “si dovrebbe imporre a qualcuno di assecondare una richiesta ritenuta legittima”.