Polemica

Guatemala: bloccato accordo con Usa per processi su richieste di asilo. Vescovi, “desistere da atto che sarebbe cessione di sovranità”

Si è fatto rovente nel fine settimana il dibattito politico in Guatemala, in merito alle politiche migratorie e al ventilato accordo con gli Usa per rendere il Guatemala il cosiddetto “terzo Paese sicuro”, dopo Usa e Messico, per i richiedenti asilo in attesa di vedere evasa la loro richiesta negli Stati Uniti. In tal modo, tornerebbero entro in confini guatemaltechi migliaia di persone centroamericane che hanno chiesto asilo negli Usa. Di fatto, l’ipotesi è stata per il momento congelata dopo l’intervento della Corte Costituzionale, che ha ammesso il ricorso contro il possibile accordo, presentato dal procuratore per i Diritti umani, Jordán Rodas. Il presidente Jimmy Morales, peraltro a fine mandato, ha così rinviato il suo incontro con Donald Trump, previsto per oggi alla Casa Bianca. Un comunicato emesso ieri dalla Presidenza della Repubblica afferma di voler attendere la sentenza della Corte ed esclude (contrariamente alle dichiarazioni dei giorni scorsi) di voler siglare un accordo che rende il Guatemala “terzo Paese sicuro”. Sull’ipotesi ha preso posizione la Conferenza episcopale guatemalteca, che ha chiesto esplicitamente di “desistere dal firmare accordi che sarebbero gravemente lesivi per il bene e la sovranità stessa del Paese”. Nella nota i vescovi esprimono “enorme preoccupazione per le conseguenze” di questo possibile accordo, “che vedrebbe acutizzare la già difficile situazione dei migranti nel nostro Paese, persone che cercano a nord opportunità che qui vengono loro negate. L’azione di governo dovrebbe piuttosto incentrarsi sulla responsabilità di provvedere alla popolazione dando un minimo di opportunità di vita degna”. I vescovi si dicono convinti che non sarebbe possibile farsi carico dei migranti provenienti da altri Paesi, garantendo loro sicurezza, accoglienza ed eventualmente un’occupazione. Parlano di “poca trasparenza con la quale è stata gestita la questione” e fanno notare che l’accordo costituirebbe una vera e propria “cessione di sovranità”.