Migranti

Corridoi umanitari: a Montecitorio le testimonianze di chi è arrivato in Italia da Eritrea e Siria

Eritreo, 29 anni, ha perso il padre a 4 anni e la vista quando aveva 5 anni a causa dell’esplosione di una mina. “Sono stato costretto a fuggire in Sudan e poi in Etiopia perché la fede pentecostale è vietata dal regime eritreo. La vita nel campo profughi è molto dura per una persona cieca e sola”. A. è uno degli oltre 2.000 beneficiari dei corridoi umanitari in Italia invitato oggi a parlare a Montecitorio al convegno “Corridoi umanitari per un’Europa solidale” organizzato dalla I Commissione (Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni) della Camera dei deputati in collaborazione con Caritas italiana, Sant’Egidio e Fcei (Federazione Chiese evangeliche italiane). A. fatica a portare a termine la sua testimonianza perché  scoppia più volte in un pianto a dirotto, ricordando i particolari della sua difficile vita. Nonostante tutto è riuscito a laurearsi in Etiopia in Scienze politiche e il 27 giugno 2018 è arrivato in Italia grazie ai corridoi umanitari. “Ora sperimento un livello di sicurezza fisica, pace e riposo mai avuto prima – dice in un buon italiano -. Ma questo non significa che non ho davanti a me delle sfide, perché devo ricominciare la mia vita da capo. Ma ho deciso di sperare e mi impegnerò fino alla fine”. Come lui anche Antun, fuggito dalla Siria insieme alla moglie e due bambini. Sono stati per anni in Libano e un anno e mezzo fa sono arrivati in Italia con i corridoi umanitari. “Abbiamo visto la morte tante volte – racconta -. La guerra è troppo brutta, trasforma tutti i ricordi in tragedia”. Ha imparato l’italiano, preso la patente e ha un impiego: “Io e mia moglie stiamo chiedendo il riconoscimento delle nostre lauree, i nostri figli vanno a scuola, hanno medicine e sicurezza. Ma soprattutto hanno speranza per il futuro”. Anche L., siriana di 28 anni, è arrivata da sola in Italia nel 2017 con il primo corridoio umanitario: “All’inizio ho avuto difficoltà per il cibo, la cultura, la lingua. Sono stata fortunata, ho incontrato brave persone, qui ho conosciuto il mio ragazzo. Anche se la mia famiglia è rimasta a Damasco, ora ho anche una famiglia italiana”.