Prostituzione: Consulta, “non è mai un atto totalmente libero”

Di fronte a chi pretende di affermare la scelta libera e consapevole di chi decide di prostituirsi, utilizzando termini come escort o sex worker, rendendo oggi note le motivazioni di una sentenza emessa lo scorso marzo, la Corte costituzionale ribadisce che vendere il proprio corpo non è mai un atto totalmente libero, ma è un’azione spesso determinata da fattori che limitano e condizionano la libertà di autodeterminazione dell’individuo.. La Consulta era stata chiamata a valutare, anche rispetto alle fattispecie di reati come “reclutamento” e “favoreggiamento” della prostituzione, se la legge Merlin fosse ormai da ritenersi incostituzionale nella parte in cui sanziona chi “recluta” persone che liberamente hanno scelto di prostituirsi vietando, di fatto, reclutamento e favoreggiamento della prostituzione. Lo scorso marzo la Consulta ha rigettato come non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate sulla legge Merlin dai giudici della Corte d’Appello di Bari nel corso del processo penale sulla vicenda delle cosiddette “escort” presentate tra il 2008 e il 2009 all’allora premier Silvio Berlusconi dall’imprenditore Gianpaolo Tarantini e da Massimiliano Verdoscia. Depositando oggi le motivazioni della sentenza, la Consulta, in estrema sintesi, spiega che i diritti di libertà – tra i quali rientra anche la libertà sessuale – sono riconosciuti dalla Costituzione in relazione alla tutela e allo sviluppo del valore della persona, e di una persona inserita in relazioni sociali. La prostituzione, però, non rappresenta affatto uno strumento di tutela e di sviluppo della persona umana, ma solo una particolare forma di attività economica, una “prestazione di servizio” per conseguire un profitto

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