Le vittime di abuso, anche giovanissime, “non hanno necessariamente un destino segnato e una presa in carico integrale può aiutarle. La morte non è mai la soluzione”. Lo sostiene in un’intervista al Sir Paola De Rose, neuropsichiatra dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma ed esperta di maltrattamenti e abusi sui minori, commentando la triste vicenda di Noa Pothoven, la diciassettenne olandese vittima di abusi, che ha deciso di lasciarsi morire di fame e di sete. Per De Rose, occorre individuare precocemente i sintomi del grave disagio delle giovanissime vittime, farle parlare e impostare un percorso di psicoterapia di sostegno e trattamenti farmacologici per aiutare la regolazione dell’umore contrastando i propositi di suicidio. “Diversi ragazzi ricoverati nel nostro reparto – racconta – hanno subito violenze molto gravi. Spesso all’interno dell’abuso sessuale c’è anche una famiglia trascurante e altre forme di violenza psicologica. Gli interventi devono includere anche un lavoro sulla famiglia che, sostenuta, può costituire un potentissimo fattore di protezione”. Per la neuropsichiatra “il nostro cervello è progettato per essere felice e per ripararsi, come tutti i nostri organi e tessuti. Il problema nasce quando mancano una corretta elaborazione di quanto accaduto. Senza un accompagnamento adeguato il cervello può andare in tilt. Non ho abbastanza elementi per esprimere un giudizio, ma una corretta terapia farmacologica e un supporto intensivo, insomma una presa in carico integrale, avrebbero sicuramente potuto aiutarla”.